La crisi la paghino i padroni! - Manifesto della Tendenza Marxista Internazionale

Italian translation of The Crisis: Make the bosses pay! - Manifesto of the International Marxist Tendency (November 4, 2008)

La crisi globale del capitalismo è qualcosa che nessuno può ignorare. Gli economisti appena ieri ci rassicuravano che un nuovo 1929 sarebbe stato impossibile. Ora si parla della minaccia di una nuova grande depressione.

Il Fondo monetario internazionale (FMI) mette in guardia sul rischio consistente di una recessione economica protratta su scala mondiale. Ciò che è iniziato come un crollo dei mercati finanziari negli Stati Uniti ora si diffonde nell’economia reale, minacciando posti di lavoro, la casa e la vita di milioni di persone.

Il panico assale i mercati. Richard Fuld, ex capo di Lehman Brothers, ha detto al Congresso americano che la sua banca è stata spazzata via da una “tempesta di paura”; questa tempesta non accenna a placarsi. Non solo banche ma intere nazioni sono sull’orlo della bancarotta, come dimostra il caso dell’Islanda. L’Asia era vista come la salvezza dalla recessione per il mondo, ma i mercati asiatici sono trascinati nel gorgo più generale. Crolli repentini si registrano quotidianamente da Tokyo a Shanghai, da Mosca a Hong Kong.

È il maggior crollo finanziario dal 1929. E come il Grande crollo del 1929, è stato preceduto da una massiccia speculazione. Le dimensioni di questa speculazione negli ultimi vent’anni non hanno precedenti. La capitalizzazione del mercato borsistico americano è salita da 5.400 miliardi di dollari nel 1994 a 17.700 miliardi nel 1999, fino a 35.000 miliardi nel 2007. Ciò rappresenta una massa di capitale speculativo ben maggiore di quello creatosi prima del 1929. Il mercato mondiale dei derivati supera i 500.000 miliardi di dollari, dieci volte la produzione mondiale di beni e servizi.

Negli anni del boom, quando i banchieri riuscivano ad accumulare ricchezze incalcolabili, non si parlava di suddividere i profitti con il resto della società. Ora che sono in difficoltà, corrono dai governi a chiedere soldi. Un giocatore d’azzardo compulsivo che ha preso in prestito mille dollari e li ha persi e non può restutuirli viene mandato in carcere, ma un banchiere miliardario che ha giocato e perso miliardi di dollari di altre persone non va in prigione, si vede restituire miliardi dal governo con i soldi di altre persone.

Di fronte al rischio di un crollo totale del sistema bancario, i governi stanno adottando misure disperate. L’amministrazione Bush ha versato 700 miliardi di dollari nei forzieri delle banche nel tentativo frenetico di ridare vita al sistema finanziario moribondo. La somma equivale a 2.400 dollari per ogni uomo, donna e bambino degli Stati Uniti. Il governo britannico ha annunciato un piano di salvataggio di 400 miliardi di sterline (in proporzione ben più grande di quello americano), e l’Unione europea ha aggiunto altre centinaia di miliardi. Il piano di salvataggio tedesco equivale al 20% del Pil della maggiore economia europea. Il governo della Merkel ha usato 80 miliardi per ricapitalizzare le banche più colpite, mentre il resto è servito a garantire i prestiti e le perdite. Finora circa 2.500 miliardi di dollari sono già stati spesi a livello mondiale eppure ciò non ha frenato la caduta.

Misure disperate

Questa crisi è ben lontana dalla fine. Non verrà fermata dalle misure prese dai governi e dai banchieri centrali. Elargendo enormi somme di denaro alle banche, concederanno un attimo di respiro, alleviando la crisi in modo marginale a costo tuttavia di creare un colossale debito per le future generazioni. Ogni economista serio sa che i mercati devono ancora scendere molto.

Per certi versi, questa situazione è anche peggio di quella degli anni ’30. L’ondata massiccia di speculazione che ha preceduto la crisi finanziaria e l’ha preparata è molte volte maggiore di quella che ha scatenato il crack del ’29. La quantità di capitale fittizio che è stato immesso nel sistema finanziario mondiale, e che costituisce un veleno che minaccia di farlo a pezzi, è così vasta che nessuno può quantificarla. La necessaria “correzione” (per usare l’eufemismo caro agli economisti) sarà dunque ben più dolorosa e duratura.

Negli anni Trenta, gli Stati Uniti erano i principali creditori mondiali mentre ora sono i principali debitori a livello internazionale. Ai tempi del New Deal, mentre cercava di rianimare l’economia americana dalla depressione, Roosevelt aveva a disposizione molte risorse. Oggi, Bush deve mendicare a un congresso riluttante soldi che nemmeno ci sono. L’approvazione della donazione di 700 miliardi di dollari al grande capitale significa un brusco aumento del debito statale. Ciò a sua volta significherà un lungo periodo di austerità e tagli al tenore di vita di milioni di cittadini americani.

Questi provvedimenti presi in fretta e furia non eviteranno la crisi, che è appena cominciata. Allo stesso modo, il New Deal di Roosevelt, contrariamente all’opinione comune, non fermò la grande depressione. L’economia americana rimase depressa fino al 1941, quando gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale e le enormi spese militari eliminarono la disoccupazione. Ci troviamo di nuovo di fronte a un prolungato periodo di riduzione dei tenori di vita, chiusura di aziende, riduzioni salariali, tagli alle spese sociali e austerità generale.

I capitalisti si trovano in un vicolo cieco e non vedono vie d’uscita. Tutti i partiti tradizionali rimangono incerti, paralizzati sul da farsi. Bush ha detto al mondo che “ci vorrà un po’ ” perché il suo piano di salvataggio finanziario funzioni. Nel frattempo, altre aziende falliranno, altre persone verranno licenziate, altre nazioni verranno rovinate. La crisi creditizia sta cominciando a strangolare aziende altrimenti sane. Impossibilitate a raccogliere capitale, le aziende devono tagliare gli investimenti fissi, poi il capitale circolante e alla fine l’occupazione.

Gli imprenditori stanno implorando governi e banche centrali di tagliare i tassi. Ma in queste circostanze non aiuterà. Il taglio coordinato di mezzo punto di qualche tempo fa è stato seguito da forti cali sui mercati azionari. Gli scombussolamenti nei mercati non si risolveranno per i tagli dei tassi da parte delle banche centrali. Di fronte alla recessione mondiale, nessuno vuole comprare azioni, nessuno vuole fare prestiti. Le banche non fanno più credito perché non pensano di riottenere il denaro. Tutto il sistema è minacciato dalla paralisi.

Nonostante gli sforzi coordinati delle banche centrali per immettere denaro nel sistema, i mercati del credito rimangono ostinatamente congelati. Il governo inglese ha fatto un regalo di oltre 400 miliardi di sterline ai banchieri. La reazione è stata la caduta della borsa. Il tasso sull’interbancario in effetti è aumentato dopo l’annuncio della donazione e del taglio di mezzo punto dei tassi da parte della Bank of England. Per lo più, questi tagli non hanno un effetto sui tassi che vengono praticati ai clienti da parte delle banche. Queste misure non hanno risolto la crisi ma hanno solo regalato soldi alla stessa gente impegnata nelle attività speculative che, se non ha creato la crisi, l’ha notevolmente aumentata e le ha dato un carattere convulso e incontrollabile.

I banchieri non perdono mai

Una volta, i banchieri erano persone rispettabili in abiti scuri, considerati un modello di responsabilità, che sottoponevano le persone a un attento esame prima di prestargli del denaro. Tutto questo è cambiato nell’ultimo periodo. Con bassi tassi d’interesse e liquidità in enorme abbondanza, i banchieri hanno gettato la cautela dalla finestra, prestando miliardi chiedendo garanzie molto basse a persone che si sono trovate nell’impossibilità di ripagare i prestiti quando i tassi salivano. Il risultato è stata la crisi dei mutui sub-prime che ha contribuito a destabilizzare tutto il sistema finanziario.

I governi e le banche centrali si sono messi d’accordo per alimentare il fuoco della speculazione al fine di evitare una recessione. Sotto Alan Greenspan, la Federal Reserve ha mantenuto i tassi molto bassi. Questa venne applaudita come una politica molto saggia. Ma questo significava rimandare i giorni brutti, rendendo la crisi mille volte peggiore quando alla fine è arrivata. Soldi a buon mercato hanno permesso ai banchieri di lasciarsi andare a un’orgia di speculazione. Le persone prendevano a prestito per investire in immobili o comprare beni; gli investitori usavano debiti a basso costo per investire in titoli ad alto rendimento o prendevano a prestito usando come garanzia altri investimenti; i prestiti delle banche hanno superato i depositi della clientela a un livello mai visto e molti titoli di dubbia qualità venivano nascosti tenendoli “fuori bilancio”.

Ora tutto questo si è trasformato nel suo contrario. Tutti i fattori che spingevano l’economia verso l’alto si stanno combinando per creare una spirale discendente. Con i debiti che oggi vengono esigiti, la mancanza di credito minaccia di far finire l’economia contro un muro. Se un lavoratore combina un macello al lavoro, lo licenziano. Ma quando un banchiere fa esplodere l’intero sistema finanziario, pretende anche una gratifica. Questi signori in giacca e cravatta che hanno ammassato ricchezze speculando con denaro di altre persone ora pretendono che i contribuenti li salvino. È una logica davvero strana, che gran parte delle persone trova difficile da capire.

Negli anni del boom il settore bancario e finanziario è stato molto redditizio. Solo nel 2006, le grandi banche hanno prodotto il 40% dei profitti di tutte le aziende americane. È un settore in cui i top manager percepiscono un salario 344 volte più alto del lavoratore medio negli Stati Uniti. Trent’anni fa, questa differenza era 35 a 1. L’anno scorso il CEO (amministratore delegato) medio delle principali 500 aziende quotate ha preso 10,5 milioni di dollari di “compensi”.

I banchieri vorrebbero che ci dimenticassimo di tutto questo e ci concentrassimo sulla necessità urgente di salvare le banche. Tutti i bisogni impellenti della società vanno messi da parte e le ricchezze sociali devono essere tutte messe a disposizione dei banchieri, i cui servizi si suppone che siano per la società assai più importanti di quelli di infermieri, dottori, insegnanti, lavoratori edili. I governi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti hanno speso in una settimana ciò che sarebbe bastato per eliminare la fame nel mondo per quasi 50 anni. Mentre milioni di persone muoiono di fame, i banchieri continuano a ricevere i loro stipendi favolosi, le loro gratifiche e continuano la loro vita lussuosa a spese pubbliche. La crisi per loro non fa differenza.

“Nell’interesse di tutti”?

Gran parte della gente non è convinta dalle argomentazioni dei banchieri e dei politici. Provano fastidio e rabbia per il fatto che soldi frutto di sacrifici vengano regalati ai banchieri e ai ricchi. Ma quando sollevano qualche obiezione arriva subito un coro assordante di politici che spiega che non ci sono alternative. Questo argomento è ripetuto così spesso e con tale insistenza che azzittisce la maggior parte dei critici, anche perché tutti i partiti sembrano d’accordo su questo.

Democratici e repubblicani, socialdemocratici e democristiani, conservatori e laburisti, tutti hanno unito le forze in una vera e propria cospirazione atta a convincere il pubblico che “è nell’interesse di tutti” che i lavoratori comuni debbano essere derubati per dare soldi nelle mani di questi gangster aziendali. “Ci serve un sistema bancario in salute (cioè che produca profitti)” gridano, “dobbiamo riportare la fiducia altrimenti domattina ci sarà l’apocalisse”.

Questo tipo di argomenti è volto a generare un atmosfera di paura e panico, in modo da rendere impossibile una discussione razionale. Ma in che cosa consiste questa posizione? Spogliata di tutti i fronzoli, significa solo che siccome le banche sono dei ricchi e siccome i ricchi “rischieranno” i propri soldi solo per un elevato tasso di profitto, e dato che al momento non stanno facendo affatto profitti, ma piuttosto perdite, il governo deve intervenire e mettere a disposizione grandi quantità di denaro per riportare i profitti e dunque la fiducia. Poi tutto andrà bene.

Il celebre economista americano John Kenneth Galbraith sintetizzò questa posizione così: “i poveri hanno troppi soldi e i ricchi non ne hanno abbastanza”. L’idea è che se i ricchi se la passano bene, allora nel lungo periodo la ricchezza pervaderà tutta la società e tutti ne trarranno beneficio. Ma come osservò Keynes, nel lungo periodo siamo tutti morti. Inoltre, questa teoria si è dimostrata falsa nella pratica.

L’argomento che è assolutamente necessario pompare vaste somme di denaro pubblico nelle banche perché altrimenti arriverà la catastrofe non convince i lavoratori e le lavoratrici. Chiedono semplicemente: perché dovremmo pagare per gli errori dei banchieri? Si sono cacciati in questo macello e devono sbrigarsela da soli. Oltre a una forte perdita di posti di lavoro nel settore finanziario e dei servizi, la crisi bancaria colpirà i livelli di vita in altri modi. Lo sconquasso dei mercati ha portato al crollo delle borse devastando i risparmi di lavoratori e piccola borghesia.

Finora, i piani integrativi pensionistici degli americani hanno perso 2.000 miliardi di dollari. Ciò significa che gente che ha lavorato sodo tutta la vita per risparmiare nella speranza di vivere con un po’ di tranquillità in pensione ora deve cancellare tutti i piani e ritardare il pensionamento. Più della metà degli intervistati in un recente sondaggio diceva di essere preoccupata di dover lavorare di più perché il valore della pensione integrativa era crollato e quasi un quarto ha aumentato le ore lavorate.

Molte persone sono sbattute fuori di casa. Se una famiglia perde la casa la si accusa di non essere stata capace di fare investimenti oculati. Le leggi ferree del mercato e la “sopravvivenza del migliore” la condannano a vivere sotto i ponti. È un fatto privato, non riguarda il governo. Ma se una banca è rovinata dalla voracità speculativa dei banchieri, è una catastrofe per la società e dunque tutta la società deve salvarla. Questa è la logica contorta del capitalismo!

Questo tentativo vergognoso di scaricare il peso della crisi su chi meno può sopportarlo deve essere respinto. Per risolvere la crisi, è necessario che tutto il sistema bancario e finanziario sia tolto dalle mani degli speculatori e posto sotto il controllo democratico della società, così che serva gli interessi di tutti e non dei ricchi.

Noi chiediamo:

1) Stop al salvataggio dei patrimoni dei ricchi. Nessuna gratifica per i grandi manager. Nazionalizzazione delle banche e delle compagnie assicurative sotto il controllo e la gestione democratica dei lavoratori. Le decisioni delle banche devono essere prese nell’interesse della maggioranza della società, non di una minoranza di ricchi scansafatiche. Compensazioni per banche e altre aziende nazionalizzate devono essere corrisposte solo in caso di comprovata necessità da parte dei piccoli azionisti. La nazionalizzazione delle banche è l’unico modo per garantire depositi e risparmi della gente comune.
2) Controllo democratico delle banche. I consigli di amministrazione devono essere composti così: un terzo da rappresentanti nominati dai lavoratori della banca, un terzo dai sindacati che rappresentano gli interessi dei lavoratori nel loro complesso e un terzo dal governo.
3) Fine immediata ai bonus stratosferici, la paga dei dirigenti deve essere limitata a quella di un lavoratore specializzato. Perché un dirigente di banca dovrebbe prendere più di un altro lavoratore? Se i banchieri non sono disposti a rendersi utili a queste condizioni possono andarsene e verranno sostituiti da persone qualificate, molte delle quali cercano lavoro e desiderano essere utili alla società.
4) Immediata riduzione dei tassi d’interesse che dovrebbero essere limitati agli effettivi costi per le operazioni bancarie. Credito a basso tasso d’interesse deve essere reso disponibile a chi ne ha bisogno: lavoratori che devono comprare casa, piccoli commercianti ed artigiani, non i banchieri e i capitalisti.
5) Diritto alla casa: stop alla possibilità per le banche di riprendersi le case, riduzione generalizzata degli affitti, massiccio piano di costruzione di case pubbliche a prezzi accessibili.

La causa della crisi

La causa profonda della crisi non è il cattivo comportamento di qualche individuo. Se fosse così, basterebbe costringerli a comportarsi meglio in futuro. È quello che Gordon Brown ed altri capi di governo intendono quando parlano di “trasparenza, onestà e responsabilità”. Ma tutti sanno che la finanza internazionale è trasparente come un pozzo nero e che la confraternita dei banchieri è onesta come una cosca mafiosa e responsabile come uno scommettitore compulsivo. Ma anche se tutti i banchieri fossero dei santi, ciò non avrebbe fatto alcuna differenza fondamentale.

Non ha senso attribuire la causa della crisi all’avidità e alla corruzione dei banchieri (anche se sono eccezionalmente avidi e corrotti). Queste sono piuttosto l’espressione della decadenza di tutto un sistema, l’espressione della crisi organica del capitalismo. Il problema non è l’avidità di certi individui, né la mancanza di liquidità o l’assenza di fiducia. Il problema è che il sistema capitalistico su scala mondiale è in un vicolo cieco. La causa profonda della crisi è che lo sviluppo delle forze produttive ha superato i ristretti limiti della proprietà privata e dello stato nazionale. L’espansione e la contrazione del credito sono spesso presentate come causa della crisi, ma sono solo i sintomi più evidenti. Le crisi sono parte integrante del sistema capitalistico.

Marx e Engels spiegarono molto tempo fa:

I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, insomma la moderna società borghese, che ha come per incantesimo prodotto mezzi di produzione e di scambio tanto potenti, è come l'apprendista stregone incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate. La storia dell’industria e del commercio è ormai da decenni solo la storia della sollevazione delle moderne forze produttive contro i moderni mezzi di produzione, contro i rapporti di proprietà che esprimono le condizioni di esistenza e di dominio della borghesia.

Basta citare le crisi commerciali, che nel loro minaccioso ricorrere ciclico mettono sempre più in questione l'esistenza dell'intera società borghese. Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta una grande parte non solo dei prodotti ma persino delle forze produttive già costituite. Nelle crisi scoppia un'epidemia sociale che in tutte le altre epoche sarebbe stata considerata un controsenso: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra di annientamento11 totale sembrano sottrarle ogni mezzo di sussistenza; l'industria, il commercio appaiono distrutti, e perché? Perché la società ha incorporato troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio.

Le forze produttive di cui essa dispone non servono più allo sviluppo della civiltà borghese e  dei rapporti borghesi di proprietà; al contrario, esse sono diventate troppo potenti per quei rapporti, ne sono frenate, e non appena superano questo ostacolo gettano nel caos l'intera società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere la ricchezza che essi stessi hanno prodotto. Come supera le crisi la borghesia? Da una parte con l'annientamento coatto di una massa di forze produttive; dall'altra conquistando nuovi mercati e sfruttando più a fondo quelli vecchi. In che modo, insomma? Provocando crisi più generalizzate e più violente e riducendo i mezzi necessari a prevenirle.”

Queste parole dal Manifesto del partito comunista scritto nel 1848 sono attuali e conservano la loro importanza oggi come allora. Potrebbero essere state scritte ieri.

La questione più importante, ad ogni modo, non è il sistema bancario ma l’economia reale: la produzione di beni e servizi. Per fare profitti, devono trovare un mercato. Ma la domanda è in forte calo e questo è aggravato dalla mancanza di credito. Ci troviamo di fronte alla classica crisi del capitalismo, che sta già mietendo vittime innocenti. Il crollo del prezzo delle case negli Stati Uniti ha significato la crisi del settore edile, che ha già tagliato centinaia di migliaia di posti. L’industria dell’auto è in crisi, con le vendite negli Usa ai minimi da 16 anni. Ciò a sua volta significa un calo della domanda di acciaio, plastica, gomma, di elettricità, di petrolio e altri merci. Avrà un effetto a catena nell’economia, significherà aumento della disoccupazione e un calo del tenore di vita.

L’anarchia capitalistica

Per gli ultimi trent’anni e passa, ci hanno detto che il miglior sistema economico possibile era qualcosa chiamato l’economia di libero mercato. Dalla fine degli anni ’70 il mantra della borghesia è stato “lasciate liberi i mercati di agire” e “tenete lo stato fuori dall’economia”. Il mercato era ritenuto in possesso di poteri magici che gli consentivano di organizzare le forze produttive senza alcun intervento dello stato. Questa idea è vecchia almeno quanto Adam Smith, che nel XVIII secolo parlava di “mano invisibile”. I politici e gli economisti si vantavano di aver abolito il ciclo economico, “non si tornerà ai boom e alle recessioni” ripetevano senza sosta.

Non si doveva sottostare a regole e controlli. Al contrario, si chiedeva a gran voce di abolire tutte le regole in quanto “limitative del libero mercato”. Hanno dunque fatto un bel falò di tutte le regolamentazioni e hanno permesso alle forze del mercato di agire liberamente. L’avidità dei profitti ha fatto il resto, con enormi masse di capitale che si muovevano senza ostacoli tra i continenti, distruggendo interi settori, facendo crollare valute spingendo semplicemente un tasto sul computer. È ciò che Marx chiamava l’anarchia del capitalismo. Ora vediamo i risultati. Con 700 miliardi di dollari dal governo americano e oltre 400 miliardi di sterline dal governo inglese, Il bilancio statale ne pagherà le conseguenze per anni. 400 miliardi di sterline sono la metà del reddito nazionale inglese. Anche se verrà ripagato (che è assai dubbio) significa molti anni di aumenti di tasse, tagli alle spese sociali e austerità.

Una vecchissima legge, l’istinto del branco, governa la condotta dei mercati. Il minimo odore che segnala la presenza di un leone semina un panico che non si può arrestare tra le mandrie di animali selvatici della savana. Questo è il tipo di meccanismo che determina i destini di milioni di persone. Questa è la cruda realtà delle economie di mercato. Come le gazzelle sentono il leone,  i mercati sentono l’arrivo di una recessione. La prospettiva di una recessione è la vera causa del panico. E quando esplode, nulla può fermarlo. Tutti i discorsi, i tagli dei tassi, i regali dello stato, non avranno effetto sui mercati finanziari, i quali vedranno che i governi e le banche centrali sono spaventati e ne trarranno le necessarie conclusioni.

Il panico che ha travolto i mercati minaccia di vanificare tutti i tentativi dei governi di contenere la crisi. Nessuna delle misure disperate prese dalla Fed e dai governi e banche centrali inglese e degli altri paesi europei riusciranno a fermare la fuga. Questo scandalo è ancor più scioccante perché le stesse persone che ora richiedono a gran voce gli aiuti di stato sono quelli che hanno sempre urlato che i governi non hanno un ruolo da svolgere nell’economia e che il libero mercato deve essere libero di operare senza regole o altre forme di interferenza statale.

Ora si lamentano con forza che le autorità di vigilanza non abbiano fatto il proprio mestiere. Ma fino a ieri tutti erano d’accordo che il mestiere delle autorità di vigilanza è semplicemente di non interferire con i mercati. Le banche centrali hanno ragione quando sostengono che non è il loro mestiere gestire le banche, perché per trent’anni questo era il ritornello che tutti cantavano. Da Londra a New York a Reykjavik, le autorità di vigilanza non sono riuscite a contenere gli “eccessi” del settore finanziario. Per gli ultimi tre decenni i sostenitori dell’economia di libero mercato hanno chiesto in coro l’abolizione delle regole.

La concorrenza tra i centri finanziari a livello mondiale era ritenuta la garanzia che il mercato avrebbe operato efficientemente, grazie alla sua mano invisibile. Ma la bancarotta delle politiche di laissez-faire è emersa crudamente nell’estate del 2007. Ora i padroni si battono il petto lamentandosi delle loro stesse azioni. La società sta pagando il conto delle politiche con cui i capitalisti e i loro rappresentanti politici hanno cercato di espandere il boom alimentando costantemente la bolla speculativa. Tutti erano coinvolti in questa frode colossale. Repubblicani e democratici, laburisti e conservatori, socialdemocratici ed ex “comunisti”, tutti hanno accettato le economie di mercato e applaudito questa corsa sfrenata all’arricchimento “facile”.

È molto facile essere saggi dopo, come potrà dire ogni ubriaco la mattina dopo una bevuta memorabile. “Dopo” giurano che hanno imparato la lezione e non berranno mai più, un proposito eccellente che vorrebbero sinceramente rispettare, fino alla prossima bevuta. Ora le autorità di vigilanza finanziaria stanno mettendo il naso anche nei più piccoli aspetti degli affari delle banche, ma solo dopo che le banche sono arrivate sull’orlo del crollo. Ma dove erano prima?

Ora tutti rimproverano gli avidi banchieri per la crisi. Ma ieri questi stessi avidi banchieri erano universalmente acclamati come salvatori della patria, creatori di ricchezza, gestori del rischio e creatori di posti di lavoro. Molti, nella City di Londra e a Wall Street perderanno ora il lavoro. Ma i trader di borsa hanno realizzati  milioni con dividendi straordinari grazie alla speculazione. I capi dei trader nei consigli di amministrazione continuavano a far girare la roulette perché anche le loro paghe si basavano sui risultati immediati.

Fuori tempo massimo, le autorità stanno cercando di imporre riduzioni ai compensi dei banchieri come prezzo del salvataggio. Non lo fanno per principio o convinzione ma per paura della reazione del pubblico di fronte allo scandalo di gratifiche enormi pagati con fondi pubblici alle stesse persone che hanno causato il caos nell’economia. I padroni non si interessano all’ambiente di rabbia e odio che va montando nella società: ne sono indifferenti, ma i politici non possono permettersi di essere del tutto insensibili agli elettori che possono punirli alle prossime elezioni

Il problema che si trovano davanti è che è impossibile regolare l’anarchia capitalistica. Si lamentano dell’avidità, ma l’avidità è al cuore dell’economia di mercato e non si può fermare. Tutti i tentativi di limitare la remunerazione “eccessiva”, i premi-extra, ecc., verranno sabotati o aggirati. Il mercato esprimerà la propria disapprovazione con improvvisi crolli del prezzo delle azioni. Questo servirà ad attirare l’attenzione delle menti dei legislatori e costringerli a fare attenzione ai veri Elettori: i proprietari della ricchezza. Quando un lavoratore rinuncia ad un aumento salariale, i soldi sono persi per sempre. Ma la stessa legge non vale per banchieri e capitalisti. Anche se questi, per ragioni cosmetiche, accettano di ridursi il proprio compenso per un anno, rimedieranno a questo grande “sacrificio” aumentandoselo l’anno venturo. Non è così difficile.

L’idea che uomini e donne non possano comportarsi meglio di così è una spaventosa diffamazione contro la specie umana. Per gli ultimi 10.000 anni l’umanità ha dimostrato di saper superare ogni ostacolo per avanzare verso l’obiettivo finale della libertà. Le meravigliose scoperte della scienza e della tecnologia ci regalano la prospettiva di risolvere i problemi che ci hanno tormentato per secoli e millenni. Ma questo potenziale colossale non potrà mai dispiegarsi in pieno finché è subordinato al sistema del profitto.

Per una vita migliore

Sorprendentemente, nei loro tentativi di difendere il capitalismo, alcuni commentatori cercano di incolpare della crisi i consumatori e chi acquista case: “La colpa è di tutti noi” dicono senza nemmeno arrossire. Dopo tutto, sostengono, nessuno ci obbligava ad accollarci mutui a tassi d’interesse del 125% o a indebitarci per fare vacanze all’estero e comperare scarpe di marca. Ma in un contesto in cui l’economia si sviluppa velocemente e il credito è a portata di mano, anche i poveri sono tentati di poter vivere al di là dei propri mezzi. Di fatto, ad un certo punto i tassi d’interesse reali negli Usa sono stati negativi, il che significa che le persone venivano penalizzate se non contraevano un prestito.

Il capitalismo crea incessantemente nuovi bisogni e l’industria della pubblicità oggi ha dimensioni enormi e fa uso dei mezzi più sofisticati per convincere i consumatori che hanno bisogno di questo e quell’altro.... lo stile di vita lussuoso delle celebrità è sbandierato davanti agli occhi della povera gente, alla quale si presenta uno stile di vista distorto e che viene sottoposta al lavaggio del cervello per portarla a desiderare cose che non potranno mai permettersi. E poi ecco che arrivano i borghesi ipocriti che puntano un dito accusatore verso le masse che, come Tantalo, sono condannate ad assistere ad un banchetto mentre soffrono tutti i tormenti della fame e della sete.

Non c’è niente di illogico o di immorale nell’aspirare ad una vita migliore. Se donne e uomini non aspirassero continuamente ad una vita migliore, non ci sarebbero progressi. La società sprofonderebbe in una situazione inerte e stagnante. Dobbiamo senz’altro cercare una vita migliore perché si vive una volta sola. E se quello in cui possiamo sperare fosse già tutto qui, la prospettiva per l’umanità sarebbe proprio triste. Quello che senza dubbio è immorale e inumano è la competizione sfrenata creata dal capitalismo, dove viene incoraggiata la voglia di possesso dei singoli individui, non come mera virtù ma come molla principale per tutto il progresso umano.

La classe capitalista crede nella cosiddetta “sopravvivenza del più adatto”. Ad ogni modo con questa espressione si intende non la sopravvivenza delle persone più intelligenti e capaci di adattamento ma soltanto dei ricchi, comunque incapaci, stupidi, brutti o disadattati, e non importa quante persone intelligenti e perfettamente capaci di adattarsi muoiano in questo processo. Si cerca senza sosta di inculcare l’idea che la sopravvivenza di un individuo va a scapito di quella di tutti gli altri, che i desideri di un individuo debbano essere soddisfatti attraverso le perdite di altri, e che per andare avanti bisogna mettere i piedi in testa agli altri. Questo tipo di viziato individualismo borghese è la base psicologica e morale per molti dei mali che attualmente affliggono la nostra società, rosicchiandone le interiora e riportandola al livello della barbarie primitiva. È la morale dei cani che si mangiano l’un l’altro, il concetto che “ogni uomo per sè e che il diavolo ne prenda la parte più bassa”.

La miserevole caricatura della selezione naturale è un insulto alla memoria di Charles Darwin. Come dato di fatto, non è stata la competizione ma la collaborazione la chiave per lo sviluppo e la sopravvivenza della razza umana a partire dalle sue origini. I nostri primi antenati nella savana dell’Africa orientale (poichè tutti discendiamo da immigrati Africani) erano creature deboli e piccole. Non avevano denti e mascelle robusti. Non correvano veloci come gli animali che volevano cacciare o come i predatori che volevano mangiarli. Seconda la “sopravvivenza del più adatto” la nostra specie si sarebbe dovuta estinguere circa tre milioni di anni fa. Il principale vantaggio evoluzionistico che i nostri antenati possedevano era la cooperazione e la produzione sociale. In quelle condizioni l’individualismo avrebbe significato morte certa.

La coscienza in cambiamento

C’è una semplice domanda da fare ai difensori della teoria della cosiddetta sopravvivenza del più adatto: perchè non si permette alle banche – dimostratesi completamente incapaci di poter sopravvivere – di morire e invece queste ultime vengono salvate dalla generosità di quella stessa società che aveva bandito ogni forma di altruismo? Per salvare le banche deboli e incapaci, governate da banchieri stupidi e inefficienti, la maggioranza capace, intelligente e accanita lavoratrice è ritenuta felice di fare sacrifici. Ma la società non è per niente convinta che per servire la giusta causa, debba fare a meno di cose “superflue” come scuole e ospedali e debba accettare un regime di austerità per il prossimo futuro.

Gli shock economici di cui si parla tutti i giorni sui giornali ed in televisione raccontano una storia il cui significato è chiaro a tutti: il sistema attuale non funziona e soprattutto, non mantiene le promesse. Non ci sono soldi per l’assistenza sanitaria, le scuole o le pensioni, ma per Wall Street ci sono tutti soldi del mondo. Nelle parole del più grande scrittore americano vivente, Gore Vidal, abbiamo “il socialismo per i ricchi e l’economia di libero mercato per i poveri”.

Molte persone comuni stanno traendo delle conclusioni corrette da tutto questo. Iniziano a mettere in discussione il sistema capitalista e si guardano intorno in cerca di alternative. Purtroppo, non tutte le alternative sono immediatamente ovvie. Negli USA guardano ad Obama e ai Democratici. Ma Democratici e Repubblicani sono soltanto facce diverse di una stessa medaglia. Ancora una volta Gore Vidal ha affermato “nella nostra repubblica c’è solo un partito, il Partito della Proprietà, con due ali destre”. Obama e McCain hanno entrambi fedelmente sostenuto il piano di salvataggio delle grandi imprese pari a 700 miliardi di dollari. Rappresentano gli stessi interessi con lievi differenze sul piano tattico.

Questi eventi avranno un effetto notevole sulle coscienze. È un’affermazione basilare del Marxismo quella per cui la coscienza umana è profondamente conservatrice. In generale, le persone non amano il  cambiamento. Le abitudini, la tradizione e la routine giocano un ruolo molto importante nel plasmare il punto di vista delle masse, che normalmente si oppongono all’idea di cambiamenti sostanziali nelle loro vite e nelle loro abitudini. Ma quando grandi avvenimenti scuotono la società fino alle fondamenta, le persone sono costrette a riconsiderare le proprie vecchie idee, i pregiudizi.

Adesso siamo entrati proprio in uno di questi periodi. La relativa prosperità che nei paesi capitalisti avanzati è durata per almeno vent’anni ha lasciato il posto nel 2001 ad una recessione abbastanza morbida. Nonostante tutte le palesi ingiustizie del capitalismo, nonostante gli orari di lavoro sempre più lunghi, l’intensificarsi dello sfruttamento, l’ineguaglianza fortissima, il lusso osceno che viene ostentato davanti alle masse crescenti di poveri e di emarginati – nonostante tutto questo molte persone credevano che l’ economia di mercato funzionasse e che potesse perfino portargli dei vantaggi. Questo era vero soprattutto negli USA. Ma per un numero sempre maggiore di persone non è più così.

Come combattere la disoccupazione

Durante il boom, quando si facevano profitti stratosferici, la maggior parte dei lavoratori non ha visto un aumento reale dei salari. Erano sottoposti ad una pressione maggiore per aumentare in continuazione la produttività e lavorare di più. Ma adesso, dato che la crisi inizia a farsi sentire, vengono minacciati non solo di subire tagli drastici negli standard e condizioni di vita ma anche di perdere il proprio lavoro. La chiusura delle fabbriche e la disoccupazione crescente sono questioni all’ordine del giorno. Questo a sua volta porterà ad un approfondimento della crisi e un’ulteriore riduzione del tenore di vita della gente. Su scala mondiale, milioni di persone sono poste di fronte al pericolo di essere gettati nelle pozzo senza fondo della povertà.

Per dieci anni l’economia spagnola è stata presentata come il motore della creazione di posti di lavoro nella zona euro. Adesso le fila dei disoccupati in Spagna si sono ingrossate di oltre 800.000 persone nell’ultimo anno. La fine del boom dell’edilizia che durava da un decennio ha spinto il tasso di disoccupazione spagnolo all’11,3 %, il tasso più alto nell’Unione Europea. “Le cose si metteranno anche peggio: questo è stato solo l’inizio”, ha affermato Daniele Antonucci, un’economista alla Merrill Lynch International a Londra. Prevede che il tasso di disoccupazione della Spagna salirà al 13% l’anno prossimo, mentre i disoccupati in Europa passeranno dal 7,5% al’8,1% entro la fine del 2008. In verità, i dati sulla disoccupazione sono molto peggiori, ma il governo ricorre ad ogni sorta di espediente per ridurli. La stessa situazione si ripresenta, con maggiore o minore intensità, in ogni paese.

I lavoratori devono difendere il proprio tenore di vita, se non possono aumentarlo o migliorarlo. La disoccupazione minaccia di disintegrare il tessuto stesso della società. La società non può permettere lo sviluppo di una disoccupazione cronica di massa. Il diritto al lavoro è un diritto fondamentale. Che tipo di società condanna milioni di uomini e donne nel pieno delle loro forze ad una vita di inattività forzata, mentre il loro lavoro e le loro abilità sono necessarie per soddisfare i bisogni della popolazione? Non c’è bisogno di più scuole e ospedali? Non c’è bisogno di buone strade e case decenti? I sistemi delle infrastrutture e dei trasporti non hanno bisogno di riparazione e di miglioramenti?

La risposta a tutte queste domande è ben nota a tutti. Ma la risposta della classe dominante è sempre la stessa: non ci possiamo permettere queste cose. Adesso tutti sanno che questa risposta è falsa. Adesso sappiamo che i governi possono reperire quantità enormi di denaro quando serve a soddisfare gli interessi della ricca minoranza che possiede e controlla banche e industrie. È solo quando la maggioranza della classe lavoratrice rivendica che i propri bisogni siano soddisfatti che i governi affermano che non c’è niente da dare.

Che cosa dimostra questo? Dimostra che nel sistema in cui viviamo i profitti di pochi sono più importanti dei bisogni di molti. Dimostra che l’intero sistema produttivo è basato soltanto su una cosa: la ricerca del profitto, o detta esplicitamente, l’ingordigia. Quando i lavoratori scendono in sciopero, la stampa (anch’essa di proprietà e sotto il controllo di un pugno di miliardari) li etichetta come “insaziabili”. Ma la loro supposta “avidità” è solo la lotta per far quadrare il cerchio: pagare l’affitto o il mutuo, pagare il cibo o la benzina i cui prezzi stanno aumentando velocemente da un mese all’altro o prendersi cura dei propri figli e della propria famiglia.

Dall’altro lato, l’avarizia dei banchieri e dei capitalisti consiste nell’accumulare grandi fortune con il lavoro di altri (dato che loro non producono nulla). Spendono questi soldi in opere d’arte, non per la loro bellezza ma perchè possono ricavarne ulteriori profitti, in cose stravaganti e in uno stile di vita eccessivo, o per darsi a speculazione ulteriore che finisce sempre nel collasso economico e nella miseria – non per loro stessi, ma per la maggioranza sul cui lavoro produttivo si appoggia l’intera società.

In passato i datori di lavoro sostenevano che le nuove tecnologie avrebbero alleggerito il fardello del lavoro, ma è successo il contrario. L’Unione Europea ha appena approvato una legge che estende l’orario lavorativo settimanale ad un massimo di 60 ore! Questo accade nella prima decade del 21° secolo, quando i meravigliosi progressi della scienza moderna e della tecnologia avrebbero reso disponibili un numero maggiore di strumenti per ridurre l’orario di lavoro che in tutte le epoche storiche precedenti. Qual’è il senso di tutto questo? Che senso c’è nel pagare un sussidio di disoccupazione masse enormi di persone per non fare niente, mentre nei posti di lavoro altri lavoratori sono costretti a molte ore obbligatorie di lavoro straordinario?

Durante il boom, i datori di lavoro costringevano le maestranze a lavorare molto oltre il limite orario previsto, per ricavare fino all’ultima goccia di surplus dal loro lavoro. Ma quando la recessione inizia e non hanno più un mercato per le loro merci, non esitano a chiudere le fabbriche, come fossero scatole di fiammiferi, e a buttare una parte della loro forzalavoro in mezzo alla strada, mentre sfruttano al massimo chi rimane. L’impasse del capitalismo è tale che la disoccupazione non avrà più carattere congiunturale ma sarà sempre più un elemento organico o strutturale. Un uomo o una donna che ha più di 40 o 50 anni potrebbe non lavorare più nel corso della propria vita, mentre molte persone qualificate che perdono il lavoro saranno costrette a fare lavori non qualificati o sottopagati per sopravvivere.

Questa  sistema economico è una gabbia di matti! Da un punto di vista capitalista è abbastanza logico. Ma noi respingiamo la logica impazzita del capitalismo! Contro la minaccia della disoccupazione noi portiamo avanti lo slogan di sviluppare un programma di lavori pubblici e dividere il lavoro senza perdita di salario. La società ha bisogno di scuole, ospedali, strade e case. Ai disoccupati deve essere dato un lavoro in base ad un vasto programma di lavori pubblici.

I sindacati devono garantire che i disoccupati siano strettamente legati ai lavoratori, per mezzo di patti di reciproca solidarietà. È necessario dividere fra tutti il lavoro che c’è senza abbassare il salario. Tutto il lavoro disponibile deve essere ripartito fra la forza lavoro rispettando la durata prestabilita della settimana lavorativa. I salari, sulla base di un minimo rigorosamente definito, devono seguire l’andamento dei prezzi. Questo è l’unico programma che può tutelare i lavoratori in un periodo di crisi economica.

Quando fanno enormi profitti, i ricchi tengono gelosamente al riparo i propri affari. Adesso che c’è una crisi indicano i bilanci come prova che non possono soddisfare le richieste dei lavoratori. Questo è vero soprattutto con i capitalisti più piccoli. Ma il punto non è se le nostre richieste siano ricevibili o meno dai datori di lavoro. Abbiamo il dovere di proteggere gli interessi vitali della classe lavoratrice e di tutelarla dagli effetti peggiori della crisi. I padroni si lamenteranno che questo ridurrà i loro profitti ed avrà un effetto sull’incentivo ad investire. Ma quale incentivo ha la maggioranza della popolazione all’interno di un sistema basato sulla privatizzazione dei profitti? Se gli interessi vitali della maggioranza sono incompatibili con le richieste del sistema attuale, allora al diavolo il sistema!

È davvero logico che le vite e i destini di milioni di persone siano determinati dal gioco cieco delle forze del mercato? È giusto che la vita economica del pianeta sia decisa come se vivessimo in un enorme casinò? Può essere giustificato il fatto che la sete di profitto sia l’unica forza motrice che decide se donne e uomini avranno un lavoro o un tetto sulla propria testa?  Quelli che possiedono i mezzi di produzione e controllano i nostri destini risponderanno in modo affermativo, perchè è nei loro interessi. Ma la maggioranza della società, vittime innocenti del sistema capitalista, avranno un’opinione molto differente.

Lottando per difendersi contro i tentativi di far pagare loro la crisi, i lavoratori capiranno il bisogno di un cambiamento radicale nella società. La sola risposta alle chiusure delle fabbriche è l’ occupazione delle fabbriche: “una fabbrica chiusa è una fabbrica occupata!”. Questo è l’unico slogan efficace per lottare contro le chiusure degli stabilimenti. Le occupazioni delle fabbriche devono necessariamente portare al controllo operaio, tramite il quale i lavoratori acquisiranno esperienza nella tenuta dei libri contabili e nell’amministrazione dell’impresa, il che in seguito permetterà loro di controllare l’intera società.

Questa è stata l’esperienza delle lotte operaie più avanzate negli ultimi anni, soprattutto in America Latina. In Brasile (CIPLA/ Interfibras, Flasko e altre fabbriche), Argentina (Brukman, Zanon e molte altre) e Venezuela, dove il gigante del petrolio PDVSA è stato fatto ripartire e ed è stato gestito dai lavoratori per mesi durante la serrata padronale nel 2002/2003, e dove un movimento di fabbriche occupate si è sviluppato attorno alla Inveval nel 2005 e sta acquistando forza.

In tutti questi casi e in molti altri, i lavoratori hanno tentato con successo contro tutto e contro tutti di far lavorare le fabbriche sotto il proprio controllo e gestione. Ma il controllo dei lavoratori non può essere un fine in sè. Pone la questione della proprietà. Fa nascere la domanda: chi è il padrone di casa? O il controllo dei lavoratori porterà alla nazionalizzazione, o altrimenti sarà solo un episodio passeggero. L’ unica vera soluzione alla disoccupazione è un’economia socialista pianificata, basata sulla nazionalizzazione delle banche e delle grandi industrie sotto il controllo e la gestione democratici dei lavoratori.

Noi chiediamo:

1)No alla disoccupazione! Lavoro o salario garantito per tutti!
2)Aprite i libri contabili! Lasciate accedere i lavoratori alle informazioni riguardanti truffe, speculazione, evasione fiscale, affari loschi e profitti e gratifiche troppo elevati. Lasciate che la gente veda come è stata ingannata e chi è responsabile del caos attuale!
3)No alla chiusura delle fabbriche! Fabbrica chiusa, fabbrica occupata!
4)Nazionalizzazione sotto il controllo operaio delle fabbriche che minacciano la chiusura!
5)Per un piano di lavori pubblici complessivo: per un programma intensivo per la costruzione di case a prezzi popolari, scuole, ospedali e strade per dare lavoro a chi è disoccupato.
6)Per l’ introduzione immediata della settimana lavorativa di 32 ore senza riduzioni salariali!
7)Per un’economia socialista pianificata, nella quale la disoccupazione sarà abolita e la società adotterà come proprio motto: IL DIRITTO AL LAVORO E’ UNIVERSALE.

Lottiamo per difendere il nostro tenore di vita!

Mentre banchieri e imprenditori realizzavano profitti stratosferici, in termini reali i salari della maggioranza dei lavoratori rimanevano al palo o diminuivano. Il divario fra ricchi e poveri non è mai stato così grande. Livelli di profitti da record hanno fatto il paio con un’ineguaglianza da primato. L’Economist (difficilmente definibile come un periodico di sinistra) lo ha messo in luce: “L’unica tendenza veramente continua negli ultimi 25 anni è stata quella verso una più elevata concentrazione della ricchezza al vertice della società” (Economist, 17 giugno 2006). Una piccola minoranza è diventata oscenamente ricca, mentre la quota della ricchezza nazionale in mano ai lavoratori si è ridotta costantemente e i settori più poveri sono sprofondati in una povertà sempre più grande. L’uragano Katrina ha fatto vedere a tutti che anche nel paese più ricco del mondo esiste una sottoclasse di cittadini nullatenenti che vivono in condizioni da terzo mondo.

Negli USA milioni di persone rischiano di perdere casa e lavoro, mentre continua senza sosta l’accumulazione di profitti. Nello stesso momento in cui Bush annuncia il suo piano di uscita dalla crisi di 700 miliardi di dollari, le compagnie fornitrici di gas ed energia elettrica hanno registrato un incremento mai visto prima del numero di utenti che non hanno pagato le bollette. L’incremento maggiore nella sospensione dell’energia è avvenuto negli stati del Michigan (22%) e di New York (17%), anche se aumenti sono stati registrati pure in Pennsylvania, Florida e California.

I lavoratori degli USA producono il 30% in più rispetto a 10 anni fa. Nonostante ciò i salari difficilmente sono aumentati. Il tessuto sociale è sempre più logoro. C’è un forte incremento delle tensioni sociali, anche nel paese più ricco del mondo. Questo prepara il terreno per l’ esplosione ancora più fragorosa della lotta di classe. Questo non vale solo per gli USA. In tutto il mondo il boom è andato di pari passo ad un’elevata disoccupazione. Anche all’apice del boom i padroni si sono ripresi le riforme e le concessioni fatte in precedenza,. Ma la crisi del capitalismo non significa solo che la classe dominante non è può permettersi nuove riforme. Non possono tollerare neanche il persistere di quelle riforme e concessioni che i lavoratori hanno conquistato in passato.

I lavoratori non hanno ricavato nessun beneficio dal boom ma adesso viene loro presentato il conto della recessione. Dappertutto ci sono attacchi alle condizioni di vita. Per difendere i profitti dei padroni e dei banchieri, bisogna tagliare i salari, aumentare le ore di lavoro e lo sfruttamento e ridurre drasticamente le spese per l’istruzione, le case e gli ospedali. Questo significa che anche le condizioni di vita semi-civili raggiunte in passato vengono ora minacciate. Al giorno d’ oggi nessuna riforma significativa può essere ottenuta senza  una lotta seria. L’idea che sia possibile realizzare ciò grazie ad un accordo con i padroni e i banchieri è del tutto errata.

L’idea dell’ “unità nazionale” per combattere la crisi è un inganno crudele nei confronti della gente. Che comunanza di interessi ci può essere fra milioni di lavoratori e gli sfruttatori straricchi? Solo quella che c’è fra il cavallo e il fantino che infilza gli speroni nei suoi fianchi. I leader dei partiti socialista, laburista e di sinistra che votano per “misure eccezionali” comprendenti generosi aiuti ai banchieri e tagli e austerità per la maggior parte della società stanno tradendo gli interessi di chi li ha eletti. Quei dirigenti sindacali che sostengono che durante una crisi “dobbiamo essere tutti uniti” ed immaginano che è possibile ottenere concessioni moderando le richieste salariali e accettando le condizioni imposte dai padroni otterranno l’opposto di quello che desiderano. Lungo la strada della collaborazione di classe e del cosiddetto “Nuovo Realismo” si incontreranno solo nuove sconfitte, chiusure di fabbriche e tagli al tenore di vita dei lavoratori.

Mentre la disoccupazione aumenta inesorabilmente, aumenta anche il costo della vita. Carburante, gas, elettricità, cibo – tutto è diventato più caro, mentre i salari sono fermi e i profitti delle grandi aziende che erogano energia salgono alle stelle. Nel periodo passato gli economisti borghesi affermavano di aver “domato l’inflazione”. Quanto appaiono ridicoli oggi questi argomenti! Quelle famiglie dove ieri c’erano due salari adesso devono vivere con uno solo – o nessuno. La lotta per sbarcare il lunario assume un significato più amaro per milioni di persone. L’inflazione e l’austerità sono in ultima analisi due facce della stessa medaglia. Nessuna può servire gli interessi della classe operaia. Respingiamo tutti i tentativi di far ricadere il peso della crisi, la disorganizzazione del sistema bancario e tutte le altre conseguenze della crisi del sistema del profitto sulle spalle dei lavoratori. Rivendichiamo lavoro e condizioni dignitose di vita per tutti.

L’unica soluzione alla crisi galoppante dei prezzi è una scala mobile dei salari. Questo significa che gli accordi collettivi devono assicurare un incremento automatico dei salari in relazione all’aumento dei prezzi dei beni al consumo. I banchieri e i loro rappresentanti a livello politico dicono alle masse: non possiamo dare salari più alti perchè questo farebbe aumentare l’inflazione. Ma tutti sanno che sono i salari a dover stare dietro ai prezzi, e non il contrario. La risposta è la scala mobile dei salari, dove i salari sono automaticamente agganciati agli aumenti del costo della vita. Comunque, anche questo non basta. Gli indici ufficiali dell’inflazione sono truccati per sottovalutare i livelli reali dell’inflazione ed allora si chiede ai lavoratori di non chiedere ulteriori aumenti proprio sulla base di queste cifre. È quindi necessario che i sindacati calcolino il tasso effettivo dell’inflazione, sulla base dei prezzi dei beni di prima necessità (inclusi gli affitti e le spese per l’abitazione) e tenere questi ultimi in costante monitoraggio. Su di esso devono basarsi tutte le rivendicazioni salariali.

Noi chiediamo:

1) Stipendi e pensioni dignitose per tutti!
2) Una scala mobile dei salari, che leghi tutti gli aumenti agli incrementi nel costo della vita.
3) I sindacati, le cooperative e le associazioni dei consumatori devono elaborare l’effettico indice per calcolare l’inflazione, che sostituisca  l’ indice “ufficiale”, che non riflette lo stato di cose reale.
4) Formare comitati di lavoratori, casalinghe, piccoli commercianti e disoccupati per controllare gli aumenti dei prezzi.
5) Abolizione di tutte le imposte indirette e introduzione di un sistema di tassazione diretta fortemente progressivo.
6) Aboliamo ogni tassa per i poveri e facciamo pagare i ricchi!
7) Mettere fine alla scarsità di carburante e ridurne drasticamente il prezzo! Questo può essere raggiunto soltanto nazionalizzando le compagnie petrolifere, il che ci permetterà di fissare prezzi calmierati sul prezzo al consumo di gas ed elettricità. Mai più profitti a scapito della collettività!

I sindacati

Nel periodo attuale, i lavoratori hanno bisogno più che mai delle proprie organizzazioni di massa, soprattutto dei sindacati. Il sindacato è l’unità organizzativa basilare dei lavoratori. Non sarà possibile lottare per difendere salari e condizioni di vita senza un forte sindacato. Questa è la ragione per cui i padroni e i loro governi cercano sempre di screditare i sindacati e di restringere il loro raggio d’azione mediante una legislazione antisindacale.

Il lungo periodo di boom ha influenzato i leader sindacali, che hanno fatto proprie politiche di collaborazione di classe e di “sindacati erogatori di servizi”, proprio quando le condizioni per un tale modo d’agire sono venute meno. L’ala destra dei dirigenti sindacali è la forza più conservatrice della società. Dice ai lavoratori che “siamo tutti sulla stessa barca” e che dobbiamo fare tutti dei sacrifici per superare la crisi, che i padroni non sono il nemico e che la lotta di classe è “roba vecchia”.

Predicano un accordo fra lavoro salariato e Ccpitale, che considerano come “Nuovo Realismo”, un ritorno alla politica cara a Blair. In verità questa è una fra le peggiori utopie. È impossibile conciliare interessi diametralmente opposti. Nelle condizioni attuali l’unico modo per ottenere riforme e aumenti salariali è attraverso la lotta. Di fatto, bisogna lottare per difendere le conquiste del passato, che sono dappertutto sotto attacco. Questo è in aperta contraddizione con le politiche di collaborazione di classe dei leader, che riflettono il passato e non il presente o il futuro. Nei loro sforzi di “omologare” i sindacati e trasformarli in strumenti per controllare i lavoratori, la classe dominante fa tutto quello che può per corrompere i vertici sindacali e legarli a doppio filo all’apparato statale. Siamo contrari a tutti questi tentativi e siamo favorevoli al rafforzamento e alla democratizzazione delle organizzazioni sindacali a tutti i livelli. I sindacati devono essere indipendenti dallo Stato, la base deve poter controllare i propri dirigenti e obbligarli a lottare tenacemente per gli interessi dei lavoratori.

I dirigenti dei sindacati riformisti, che amano essere considerati come realisti e dotati di senso pratico, sono in realtà completamente ciechi e ottusi. Non hanno la più pallida idea della catastrofe che la crisi del capitalismo sta creando. Immaginano che sia possibile cavarsela alla bell’è meglio, accettando tagli e altre imposizioni, nella speranza che alla fine tutto si aggiusterà. Si aggrappano ai “buoni rapporti” con i capitalisti che pensano di poter ottenere con una condotta arrendevole. Tutto il contrario! Tutta la storia mostra che la debolezza stimola l’aggressione. Per ogni passo indietro che fanno i dirigenti sindacali, i padroni ne domanderanno altri tre.

Anche quando sono costretti dalla pressione dal basso a convocare scioperi e scioperi generali, fanno tutto quanto in loro potere per far sì che queste siano azioni puramente dimostrative, limitate nel tempo e nella dimensioni. Quando sono obbligati a convocare manifestazioni di massa, li fanno diventare spettacoli e feste in piazza con palloncini e bande musicali senza alcun contenuto combattivo e di classe. Per i dirigenti questo è solo un mezzo per far sfogare la rabbia delle masse. Per attivisti sindacali seri, al contrario, scioperi e manifestazioni sono un mezzo per far capire ai lavoratori la loro forza e preparare il terreno per cambiamenti fondamentali nella società.

Anche in passato c’era una diffuso malcontento che covava sotto la superficie come riflesso degli attacchi ai diritti dei lavoratori e alla legislazione antisindacale. Questo scontento verrà adesso in superficie e si esprimerà attraverso le organizzazioni di massa della classe operaia, iniziando dai sindacati. La radicalizzazione della base entrerà in conflitto con il conservatorismo dei dirigenti. I lavoratori chiederanno una trasformazione completa dei sindacati, e faranno di tutto per renderli organizzazioni realmente combattive.

Siamo per la costruzioni di organizzazioni sindacali di massa, democratiche e combattive, che saranno in grado di organizzare la maggioranza della classe lavoratrice, formandola e preparandola concretamente, non solo per una trasformazione radicale della società, ma per essere in grado di far funzionare l’economia nella futura società democratica socialista.

Noi chiediamo:

1)Completa indipendenza dei sindacati dallo Stato.
2)Fine dell’ arbitrato obbligatorio sui conflitti, degli accordi anti-sciopero, e delle altre misure che limitino l’azione dei sindacati.
3)Democratizzazione dei sindacati. Controllo della base sui vertici!
4)Abolizione dell’elezione a vita dei dirigenti! Elezione di tutti i dirigenti sindacali con diritto di revoca.
5)Contro la burocrazia e il carrierismo! Nessun funzionario deve ricevere un salario più elevato di un lavoratore qualificato. Tutte le spese devono poter essere verificate dalla base.
6)No alla collaborazione di classe! Per un programma combattivo che mobiliti i lavoratori in difesa dei posti di lavoro e del proprio tenore di vita.
7)Per l’unità sindacale sulla base delle rivendicazioni precedenti.
8)Per il controllo della base, compreso il rafforzamento dei comitati dei rappresentanti dei lavoratori e la creazione di comitati ad hoc durante gli scioperi e le altre vertenze come strumento per assicurare la partecipazione del numero più ampio possibile di lavoratori.
9)Per la nazionalizzazione delle leve fondamentali dell’economia e la creazione di una democrazia operaia nella quale i sindacati giochino un ruolo chiave nella gestione e nel controllo di tutti i luoghi di lavoro. L’attività sindacale non è un fine in sè, ma solo un mezzo verso la meta, che è la trasformazione socialista della società.

La gioventù

La crisi del capitalismo ha effetti particolarmente negativi per quanto riguarda le giovani generazioni, che rappresentano la chiave verso la costruzione di un futuro per la razza umana. Il decadimento senile del capitalismo minaccia di mettere a repentaglio la cultura e demoralizzare i giovani. Interi settori di giovani, non vedendo via d’uscita dalla crisi, si danno all’alcolismo, al consumo di droghe, ai furti e alla violenza. Quando un ragazzo viene ucciso per un paio di scarpe da ginnastica, dobbiamo chiederci in che tipo di società viviamo. Questo sistema incoraggia i giovani ad aspirare al consumo di prodotti che non si possono permettere, e poi grida allo scandalo vedendo i risultati.

Margaret Thatcher, la celebre sacerdotessa dell’economia di mercato, ha detto una volta che la società non esiste. Questa filosofia dannosa ha prodotto effetti devastanti, quando ha cominciato ad essere messa in pratica 30 anni fa. Questo volgare individualismo ha contribuito fortemente a creare uno spirito di egoismo, avarizia e indifferenza verso le sofferenze degli altri che è filtrato come un veleno nel corpo sociale. È la vera essenza dell’economia di mercato.

La misura effettiva del livello di civilizzazione nella società è data da come ci prendiamo cura dei vecchi e dei giovani. Tramite questo indicatore non ci possiamo qualificare come una società civile, ma al contrario come una società che sta scivolando verso la barbarie. Anche nel periodo del boom c’erano già sintomi di barbarie nella società, con un aumento della criminalità e della violenza, e la diffusione di stati d’animo anti-sociali e nichilisti tra uno strato di giovani. Ma questi stati d’animo sono un riflesso veritiero dell’immoralità del capitalismo.

I reazionari protestano a voce alta a riguardo, ma poichè non possono riconoscere che tali fenomeni sono conseguenza del sistema sociale che difendono, non hanno la capacità di proporre alcuna soluzione. La loro unica soluzione è quella di riempire le celle delle prigioni di giovani che imparano ad essere veri criminali invece di semplici dilettanti. E così entriamo in un circolo vizioso di alienazione sociale, dipendenza dalla droga, degrado e crimine.

La risposta del sistema è di criminalizzare i giovani, dare loro la colpa dei problemi che la stessa società genera, aumentare le politiche repressive, costruire più prigioni ed emanare sentenze più severe. Invece di risolvere il problema, queste misure servono solo ad aggravarlo e a creare un circolo vizioso di crimine e di alienazione. Questo è il risultato logico dell’esistenza del capitalismo e dell’economia di mercato, che tratta le persone come semplici “fattori di produzione” e che sottomette tutto alla logica del profitto. Il nostro appello ai giovani è quello di organizzarsi e unirsi alla classe operaia nella battaglia contro il capitalismo e per il socialismo!

La crisi del capitalismo significa maggiore disoccupazione ed un ulteriore decadimento delle infrastrutture, dell’istruzione, della sanità e delle politiche per la casa. Questo decennio di politiche di controriforma porta con sè il rischio di ulteriore disintegrazione sociale. Significherà un aumento del crimine, del vandalismo, di comportamenti anti-sociali e di violenza.

È necessario prendere misure urgenti per evitare che nuovi settori di giovani sprofondino nel baratro della demoralizzazione. La battaglia per il socialismo significa una battaglia per la cultura nel suo significato più vasto, per elevare le aspirazioni dei giovani, per dargli uno scopo nella vita che vada oltre la lotta per la sopravvivenza in modo non dissimile da quella degli animali. Se tratti le persone come animali, si comporteranno da animali. Se tratti le persone come esseri umani, agiranno di conseguenza.

Tagli all’istruzione a tutti i livelli, l’abolizione delle borse di studio e l’introduzione di tasse e prestiti per gli studenti significano che i giovani della classe lavoratrice sono tenuti fuori dai livelli più alti dell’istruzione. Invece di essere adeguatamente formati per essere al servizio della società una volta diventati adulti, e poter accedere alla cultura, la maggioranza dei giovani è condannata ad una vita di lavori precari sottopagati e non qualificati. Al tempo stesso alle imprese private si permette di interferire nell’ istruzione, che viene sempre più considerata come un mercato in cui fare profitti.

Noi chiediamo:

1)Un’istruzione dignitosa per tutti i giovani. Un programma intensivo di costruzione di scuole ed un sistema veramente gratuito di istruzione ad ogni livello.
2)L’immediata abolizione delle tasse scolastiche e l’introduzione di una borsa di studio dignitosa per tutti gli studenti che permetta l’accesso agli strati superiori dell’istruzione.
3)Un lavoro garantito e con salario dignitoso a tutti quelli che escono dalla scuola.
4)La fine della dominazione e dello sfruttamento dell’educazione da parte delle grandi imprese. Via i privati dall’istruzione!
5)La costruzione di circoli giovanili ben attrezzati, librerie, centri sportivi, cinema, piscine e altri centri ricreativi per i giovani.
6)Un programma di edilizia pubblica accessibile agli studenti ed a tutti i giovani.

“E’ praticabile?”

La crisi del capitalismo significa che ovunque banchieri e capitalisti sperano di buttare tutto il fardello della crisi sulle spalle di quelle persone che meno possono permettersi di pagare: i lavoratori, la classe media, i disoccupati, i vecchi e gli ammalati. Viene ripetuto di continuo che, poichè c’è una crisi, non possiamo permetterci di migliorare o persino di mantenere il tenore di vita attuale.

L’argomento per cui non ci sono soldi per le riforme è palesemente falso. Ci sono montagne di soldi per gli armamenti e per la guerra in Iraq ed in Afghanista, ma non ci sono soldi per scuole ed ospedali. Ci sono montagne di soldi per aiutare i ricchi, come possiamo vedere con il piccolo regalo di 700 miliardi di dollari che Bush ha fatto ai banchieri. Ma non ci sono soldi per pensioni, ospedali o scuole.

L’argomento della “praticabilità” quindi non regge. Una data riforma è praticabile o meno, a seconda se difende gli interessi di una certa classe oppure no. In ultima analisi, che sia praticabile  (vale a dire, se viene messa in pratica) dipende dalla lotta di classe e dall’effettivo rapporto di forza fra le classi. Quando la classe dominante rischia di perdere tutto, sarà sempre pronta a fare concessioni che “non si può permettere”. Questo si è visto nel maggio 1968 in Francia, quando la borghesia ha concesso grandi aumenti salariali e miglioramenti considerevoli rispetto agli orari ed alle condizioni di lavoro per far finire lo sciopero generale e far sì che i lavoratori lasciassero le fabbriche che avevano occupato.

L’emergere della crisi potrebbe all’inizio rappresentare uno shock per molti lavoratori, ma ciò si tramuterà presto in rabbia quando le persone si renderanno conto che viene loro chiesto di pagare il prezzo della crisi. Ci saranno improvvisi cambiamenti di coscienza, che può essere trasformata nel giro di 24 ore. Un grande movimento anche solo in un paese importante può provocare un rapido cambiamento della situazione complessiva,  come accaduto nel 1968. La sola ragione per cui questo non è ancora successo è perchè i dirigenti delle organizzazioni di massa dei lavoratori inseguono gli avvenimenti e non riescono a proporre una vera alternativa. Comunque, ci sono già segnali di un cambiamento.

Nell’ultimo periodo ci sono stati scioperi generali e manifestazioni di massa in tutta Europa. In Grecia ci sono stati nove scioperi generali da quando il partito di destra Nuova Democrazia ha vinto le elezioni nel 2004. Nei primi sei mesi del 2008 il Belgio ha assistito ad un’ondata di scioperi a gatto selvaggio che hanno ricordato quelli degli anni ‘70.  Il movimento si è diffuso spontaneamente da un settore all’altro. Nel marzo 2008 la Compagnia dei Trasporti di Berlino (BVG) è stata paralizzata da uno sciopero lungo e combattivo degli autisti e degli addetti alla manutenzione e all’amministrazione. Dopo anni di concessioni e di arretramenti i lavoratori hanno dimostrato di averne avuto abbastanza. Migliaia di ragazzi sono scesi in strada in Spagna mercoledì 22 ottobre per protestare contro i piani di privatizzazione dell’ istruzione universitaria ed anche per opporsi ad ogni piano per far pagare ai lavoratori la crisi con tagli all’ istruzione, alla sanità e ad altri servizi pubblici.

In Italia gli studenti si stanno mobilitando. Centinaia di migliaia di studenti delle superiori e delle università insieme ad insegnanti, professori e ai genitori si stanno mobilitando in tutta Italia contro il tentativo di Berlusconi di privatizzare ancor di più l’istruzione. Questo ha portato all’occupazione di scuole e Università. La risposta del governo è stata quella di minacciare l’uso della polizia armata contro gli studenti. Sabato 11 ottobre 300.000 lavoratori e giovani hanno partecipato ad una manifestazione convocata da Rifondazione Comunista e altre organizzazioni della sinistra.

Tutto questo fa vedere che i lavoratori non restano a braccia conserte mentre il loro tenore di vita viene attaccato. Sono state poste le basi per una grande ripresa della lotta di classe. I lavoratori non sono interessati alla logica del profitto. Il nostro dovere è difendere gli interessi della nostra classe, difendere il tenore di vita e migliorare le condizioni di lavoro. Se ci sono soldi per i banchieri, allora ci sono soldi per finanziare il tipo di riforme di cui abbiamo bisogno per fare della socetà un posto in cui vivere!

Difendere i diritti democratici!

Per oltre mezzo secolo, i lavoratori dell’Europa Occidentale e del Nordamerica hanno creduto che la democrazia fosse qualcosa di garantito per sempre. Ma questa era un’illusione. La democrazia è una costruzione molto fragile, ed è possibile solo in paesi ricchi dove la classe dominante può fare determinate concessioni alle masse per placare la lotta di classe. Tuttavia quando le condizioni cambiano la classe dominante nei Paesi “democratici” può passare alla dittatura con la stessa facilità con cui un uomo si sposta fra scompartimenti diversi di un treno.

In un contesto di lotta di classe avanzata, la classe dominante inizierà a ad avvicinarsi alla reazione. Si lamenteranno che ci sono troppi scioperi e manifestazioni e chiederanno “Ordine”. Recentemente a Cossiga, che è stato Ministro dell’ Interno negli anni ’70 per la Democrazia Cristiana, poi Presidente della Repubblica ed ora senatore a vita, è stato chiesto cosa bisogna fare con le manifestazioni degli studenti. Ha risposto:

Bisogna lasciarli fare. Ritirare le forze dell’ordine dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città.(…)Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano.(…) Spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio”.

Questo è un segnale di quanto possiamo aspettarci nel prossimo periodo di lotta di classe, che si intensificherà, in Italia e in altri Paesi. In futuro, a causa della debolezza dei leader riformisti è probabile che riusciranno ad insediare una qualche forma di regime bonapartista (poliziesco – militare) in un qualche Paese europeo. Ma nelle condizioni di oggi un tale regime sarebbe molto instabile e non potrebbe durare a lungo.

In passato in Italia, Spagna e Germania esisteva un settore di classe contadina e di piccola borghesia consistenti, che costituivano una base di massa per la reazione. Questo non esiste più. In passato molti studenti provenivano da famiglie ricche e sostenevano i fascisti. Adesso molti studenti sono di sinistra. Le riserve sociali della reazione sono alquanto limitate. Le organizzazioni fasciste sono piccole, anche se possono essere estremamente violente, il che riflette debolezza e non forza. Inoltre, dopo l’esperienza di Hitler, la borghesia non ha intenzione di consegnare un’altra volta il potere nelle mani di un pazzo. Preferiscono fare affidamento a “rispettabili” ufficiali dell’esercito, usando i delinquenti fascisti come forza ausiliare.

Già nel passato recente i diritti democratici sono stati messi sotto attacco. Con la scusa della legislazione antiterroristica, la classe dominante introduce nuove leggi per restringere i diritti democratici. Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, Bush ha fatto approvare in fretta l’Homeland security act (una legge antiterrorismo che assieme al Patrioct Act, limita fortemente i diritti democratici, ndt). L’amministrazione Bush sta cercando di distruggere le basi del regime democratico nato dalla rivoluzione americana e sta cercando di promuovere una forma di governo slegata da ogni controllo. Leggi simili sono state approvate in Gran Bretagna ed in altri Paesi.

Combatteremo per difendere tutti i diritti democratici conquistati dai lavoratori in passato. Soprattutto, difenderemo il diritto a scioperare e a manifestare e ci opponiamo a tutte le restrizioni legislative che gravano sull’attività sindacale. Tutti devono avere il diritto di aderire ad un sindacato e di unirsi ad altri lavoratori per difendere i propri diritti. Molto spesso i difensori del capitalismo contrappongono il socialismo alla democrazia. Ma le stesse persone che accusano i socialisti di essere antidemocratici e si pongono in prima fila fra i difensori della democrazia, sono sempre stati i nemici più feroci di quest’ultima. Dimenticano tranquillamente che i diritti democratici che abbiamo oggi sono stato conquistati dalla classe operaia con un lotta lunga e dura  contro i ricchi e i potenti che hanno sempre contrastato energicamente ogni rivendicazione democratica.

La classe lavoratrice è interessata alla democrazia perchè ci fornisce le condizioni più favorevoli per sviluppare la lotta per il socialismo. Ma capiamo che sotto il capitalismo la democrazia deve necessariamente avere un carattere limitato, a senso unico e fittizio. A cosa serve la libertà di stampa quando tutti i grandi giornali e i canali televisivi, le sale per riunioni e i teatri sono nelle mani dei ricchi? Fino a quando la terra, le banche e i grandi monopoli rimangono nelle mani di pochi, tutte le decisioni veramente importanti che riguardano le nostre vite saranno prese non da parlamenti e da governi eletti ma nelle stanze chiuse dei consigli di amministrazione delle banche e delle grandi imprese. L’ attuale crisi lo ha reso chiaro a tutti.

Noi chiediamo:

1)L’immediata abolizione di tutte le leggi antisindacali
2)Il diritto di tutti i lavoratori di aderire ad un sindacato, di scioperare, di fare picchetti e di manifestare
3)Il diritto di parola e di assemblea
4)No alle restrizioni dei diritti democratici con il pretesto delle cosiddette leggi antiterrorismo!
5)Le organizzazioni dei lavoratori devono respingere l’ idea falsa di “unità nazionale” con i governi e i partiti  capitalisti sotto il pretesto della crisi. Questi ultimi ne sono responsabili e vogliono far pagare il conto alla classe operaia.

Un altro mondo è possibile – il socialismo

Alcune persone ritengono in maniera errata che la crisi attuale sia dovuta ai progressi della scienza. Affermano che saremmo più felici se vivessimo in capanne di fango e lavorassimo dall’alba al tramonto, spaccandoci la schiena nel lavoro dei campi. Questa è follia. Il modo per ottenere la vera libertà di sviluppare pienamente il potenziale di uomini e donne si trova proprio nello sviluppo più completo dell’industria, dell’agricoltura, della scienza e della tecnologia. Il problema è che queste potenti armi per lo sviluppo umano sono nelle mani di individui che subordinano il loro utilizzo alla sete di profitto, adattandoli ai propri scopi, limitando la loro applicazioni e frenandone lo sviluppo. È chiaro che la scienza avrebbe scoperto una cura contro il cancro già molto tempo fa o trovato alternative convenienti e non inquinanti ai combustibili fossili se non fosse anch’ essa incatenata al carro del profitto.

La scienza e la tecnologia possono sviluppare il loro enorme potenziale solo quando saranno liberate dall’abbraccio soffocante dell’economia di mercato e saranno poste al servizio dell’umanità in un sistema razionale e democratico di produzione, basato sui bisogni della gente e non sul profitto. Questo ci darebbe la possibilità di lavorare solo lo stretto necessario, liberando così donne e uomini dalla schiavitù di lunghe ore di sfruttamento e dando loro la capacità di sviluppare tutte le loro capacità fisiche, intellettuali o spirituali. Ciò significherà il salto dell’ umanità “dal regno della necessità al regno della libertà”.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, i difensori del vecchio ordine sociale erano felici. Parlavano di fine del socialismo, e addirittura di fine della storia. Ci hanno promesso una nuova epoca di pace, prosperità e democrazia, grazie ai miracoli resi possibili dall’economia di libero mercato. Adesso, dopo soli 15 anni, questi sogni sono sfumati e non rimane traccia di queste illusioni. Problemi seri richiedono soluzioni adeguate. Non si può curare il cancro con l’aspirina! Quello di cui c’è bisogno è un cambiamento della società. Il problema fondamentale è il  sistema stesso. Gli economisti borghesi che argomentavano che Marx aveva torto e che le crisi capitaliste erano cose del passato (il “nuovo paradigma economico”) hanno commesso un errore.

Il boom passato aveva tutte le caratteristiche del ciclo economico descritto da Marx molto tempo fa. Il processo di concentrazione del capitale ha raggiunto proporzioni enormi. C’è stata un’orgia di acqusizioni ed un aumento dei monopoli, che hanno raggiunto proporzioni mai sentite prima. Questo non ha portato allo sviluppo delle forze produttive come in passato. Le fabbriche sono state chiuse come fossero scatole di fiammiferi e centinaia di migliaia di persone sono state espulse dal posto di lavoro. Ora questo processo subirà un’ulteriore accelerazione poichè il numero di bancarotte e di chiusure aumenta ogni giorno.

Che cosa significa tutto questo? Stiamo assistendo alla dolorosa morte agonizzante di un sistema sociale che non merita di vivere, ma che rifiuta di morire. Questo non è sorprendente: tutta la storia dimostra che nessuna classe dominante cede il proprio potere e i propri privilegi senza combattere. Questa è la vera spiegazione per guerre, terrorismo, violenza e morte che sono le caratteristiche principali dell’epoca in cui viviamo. Ma stiamo assistendo anche alle doglie di una nuova società – una società nuova e giusta, un mondo adatto a uomini e donne per viverci. Al di fuori di questi eventi sanguinari, in un Paese dopo l’altro, una nuova forza sta per nascere – la forza rivoluzionaria di lavoratori, contadini e giovani.

George Bush è ebbro di potere e immagina che questo potere sia senza limiti. Sfortunatamente c’è ancora chi a sinistra ha questa stessa idea. Ma si sbagliano. Un’ondata rivoluzionaria sta scuotendo l’America Latina. La Rivoluzione Venezuelana è stata un terremoto che ha causato sconvolgimenti in tutto il continente; il movimento delle masse in America Latina è stato la risposta finale a tutti quelli che sostenevano che la rivoluzione non è più possibile. Non solo è possibile, è assolutamente necessaria se vogliamo salvare il mondo dal disastro che sta per arrivare.

Milioni di persone iniziano a reagire. Le manifestazioni di massa contro la guerra in Iraq hanno fatto scendere in piazza milioni di persone. È stato l’indicazione dell’inizio di un risveglio. Ma il movimento non aveva un programma complessivo per cambiare la società. I cinici e gli scettici hanno fatto il loro tempo. È ora di sbarazzarsene e di continuare la lotta. La nuova generazione vuole combattere per la propria emancipazione. Cercano uno slogan, un’idea e un programma che li possa ispirare e portarli alla vittoria. Può essere solo la lotta per il socialismo su scala mondiale. La scelta che la razza umana ha davanti a sè è socialismo o barbarie.

Per gli Stati Uniti Socialisti d’Europa!

Il potenziale produttivo dell’Europa è enorme. Con una popolazione di 497 milioni di persone ed un reddito pro-capite di 32.300 € (all’ anno, ndt) rappresenta una forza formidabile, che potenzialmente può sfidare la potenza degli USA. Ma questo potenziale non potrà mai essere sviluppato sotto il capitalismo. Tutti i tentativi di accelerare l’unificazione europea si sono arenati sullo scoglio degli interessi nazionali contrastanti. La prospettiva della recessione servirà per approfondire queste divisioni e metterà un punto di domanda sopra il futuro della stessa Unione Europea.

La creazione dell’Unione Europea ha rappresentato la tacita ammissione del fatto che è impossibile risolvere i problemi dell’ economia nei ristretti ambiti del mercato nazionale. Ma su basi capitaliste l’unità dell’Europa non può mai essere raggiunta. Durante una crisi le contraddizioni fra i capitalisti dei diversi stati nazionali vengono alla luce. L’attuale crisi ha messo in evidenza le spaccature in precedenza occulte e ha rivelato il vuoto che c’è nella demagogia attorno all’ unità europea. Nonostante le rassicurazioni di Sarkozy, le relazioni fra i leader europei sono sempre più aspre, soprattutto fra i leader di Francia e Germania, i due paesi chiave dell’Unione Europea.

La dichiarazione unilaterale del governo tedesco che avrebe garantito il miliardo di euro di depositi bancari dei privati cittadini ha colto impreparati i governi dell’Unione Europea e sembra aver inibito la proposta di una cooperazione europea precedentemente accordata a Parigi durante un summit dei leader francese, inglese, tedesco e italiano. La mossa tedesca ha portato alla minaccia di un ritiro generalizzato dei risparmi dalle banche di altri Paesi. Gli altri Stati erano infuriati. Ma in che consiste la differenza fra questo e la dichiarazione del governo irlandese che avrebbe garantito tutte le passività delle sei principali banche del paese per due anni, o la promessa ricorrente del governo inglese secondo cui si sarebbero prese “tutte le misure possibili” per tutelare i risparmiatori o la promessa di Sarkozy che i risparmiatori francesi non avrebbero perduto un “solo euro”?

Tutto ciò dimostra ha messo in evidenza l’ipocrisia della Commissione Europea, che sta sfidando la mossa irlandese, ma ha detto in seguito che non vedeva niente di sbagliato nei provvedimenti di Berlino. Che differenza c’è fra Irlanda e Germania? Che la Germania è grande e l’Irlanda è piccola, e la prima controlla i “cordoni della borsa” dell’Unione Europea. Garanzie simili sono state offerte da una serie di altri governi europei – comprese Svezia, Austria, Danimarca e Portogallo – per evitare la fuga dei risparmiatori verso banche tedesche o irlandesi.

In realtà ogni governo nazionale cerca di mettere davanti i propri interessi. La reciproca diffidenza fra i governi europei è venuta a galla appena si sono trovati di fronte ad una crisi. Ogni governo dovrebbe combattere il panico che si va diffondendo attraverso l’Atlantico, per mezzo delle istituzioni finanziarie europee. Washington, con un solo governo ed un solo sistema politico, ha trovato abbastanza difficile fronteggiare la crisi globale del credito. L’Unione Europea ha una sola moneta ed un solo mercato ma ha 27 governi e non ha un sistema generale di supervisione bancaria o di governo dell’economia.

È impossibile unire sistemi economici che vanno in direzioni diverse e i governi europei stanno pagando il prezzo della creazione di una singola moneta senza le istituzioni o un sistema regolatore che gestisca una singola economia. Nel prossimo periodo emergeranno inevitabilmente tendenze protezioniste. I tentativi dei singoli governi di attirare miliardi di euro di investimenti in uscita da altri Paesi sono un anticipo di politiche tipo “chiedi la carità al mio vicino” che è lecito attendersi mentre la crisi si approfondisce.

Sylvester Eijffinger, dell’università di Tilburg, consigliere monetario del Parlamento europeo, ha detto: “Questa è la sveglia. Prima abbiamo avuto l’integrazione economica, poi quella monetaria. Ma non abbiamo mai sviluppato una parallela integrazione politica e legislativa che ci avrebbe permesso di fronteggiare una crisi come quella attuale”. Le tensioni fra gli stati nazionali sono tali da mettere in discussione l’esistenza stessa dell’euro nel prossimo periodo. Non è impensabile che l’ Unione Europea possa disgregarsi o quanto meno venir fuori profondamente trasformata nelle proprie strutture e ridotta a poco più di un’accozzaglia di formalità rituali fra nazioni.

L’Unione Europea è in realtà un club di capitalisti dominato dalle banche e dai grandi monopoli degli Stati membri. I nuovi Stati membri dell’Europa orientale sono usati come riserva di manodopera a basso costo, con prezzi europei e salari orientali. Dall’altro lato, l’Unione Europea è un blocco imperialista che sfrutta le vecchie colonie dei Paesi europei in Africa, in Medio Oriente, l’Asia e i Caraibi. Non c’è niente di progressista in tutto ciò. L’unico modo per sviluppare il vero potenziale dell’Europa è costruire una Federazione socialista, che convoglierebbe le forze produttive dell’Europa in un piano comune. Questo deve combinarsi con la massima autonomia per tutti i popoli d’Europa, inclusi i Baschi, i Catalani, gli Scozzesi, gli Irlandesi e tutte le altre minoranze nazionali e linguistiche. Getterebbe le basi per una soluzione pacifica e democratica del problema nazionale in Paesi come l’Irlanda e Cipro. Una federazione socialista sarebbe formata su base strettamente volontaria con uguaglianza completa per tutti i cittadini.

Rivendichiamo:

1) No all’Europa dei burocrati, delle banche e dei monopoli!
2) Espropriazione delle banche e dei monopoli e creazione di un pianificazione integrata su basi democratiche e socialiste delle risorse produttive
3) Fine delle discriminazioni contro gli immigrati, le donne e i giovani. Uguale salario per uguale lavoro!
4) Coordinamento degli attivisti sindacali su scala europea e mondiale. Per un fronte unico combattivo dei lavoratori contro le grandi multinazionali!
5) Per gli Stati Uniti Socialisti d’Europa!

Europa dell’Est, Russia e Cina

L’inizio della recessione in Europa occidentale sta esacerbando i problemi delle cosiddette economie emergenti dell’Europa orientale, da dove gli investitori trasferendo i loro investimenti maggiormente a rischio verso destinazioni più sicure. Le economie relativamente deboli dell’Europa dell’Est pagheranno a caro prezzo la loro integrazione nel capitalismo mondiale. Forti inflessioni nella crescita e aumento della povertà si stanno già vedendo in Russia, Ucraina e Romania. Nonostante la crescita di alcune aree dell’Europa orientale, si prevede che la crescita del Pil pro capite per l’intera regione sarà zero.

L’Ungheria si sta preparando per una “situazione da recessione” e va incontro, secondo il primo ministro Ferenc Gyurcsany, ad una contrazione del Prodotto interno lordo per il prossimo anno. Il governo si aspettava una crescita del Pil del 3% nel 2009 quando ha stilato una prima previsione di bilancio per il prossimo anno. Adesso si trova ad affrontare pesanti tagli e una disoccupazione galoppante. La crisi finanziaria arriva solo 2 anni dopo che Gyurcsany ha introdotto l’aumento delle tasse, tagli di posti di lavoro nel settore pubblico e dei sussidi per il rifornimento energetico delle abitazioni in modo da contenere il più grande deficit di bilancio in tutta l’Unione Europea.

Il governo ungherese è stato costretto a richiedere un prestito d’emergenza di 5 miliardi di euro dalla Banca Centrale Europea. Soffocata dall’abbraccio dei banchieri internazionali, l’Ungheria sarà costretta a tagliare la spesa pubblica per contenere il deficit. Come sempre, saranno i lavoratori e i contadini a pagarne il prezzo. Il governo sta proponendo di congelare i salari, di cancellare i bonus per i dipendenti pubblici e di ridurre le pensioni per portare il deficit al 2,6% del PIL. E la Polonia e gli altri paesi dell’Europa dell’Est sono solo un passo dietro all’Ungheria.

Le popolazioni dell’Europa orientale sono entrate nell’UE con l’idea che avrebbero goduto dello stesso tenore di vita che avevano visto in Germania e in Francia. Ma queste illusioni sono state presto sconfessate. Una piccola minoranza si è arricchita saccheggiando le proprietà dello Stato attraverso delle “privatizzazioni - truffa”. Ma la maggioranza dei polacchi, cechi, slovacchi e ungheresi non ha tratto alcun beneficio dal ritorno al capitalismo. Durante il boom sono stati sfruttati come mano d’opera a basso costo nei paesi più ricchi. Adesso l’Europa dell’Est si trova di fronte alla bancarotta. E il crollo economico nell’Europa orientale trascinerà giù con sé le economie dell’Austria e degli altri paesi dell’Ue coinvolti.  

Da nessuna altra parte in Europa le conseguenze della restaurazione capitalista sono state tanto disastrose come nei Balcani. La disgregazione della Jugoslavia è stata un atto criminale che ha portato ad una serie di guerre fratricide, terrorismo, omicidi di massa e genocidi. Questa terribile situazione ha avuto conseguenze catastrofiche per milioni di persone che prima avevano buoni standard di vita, pace e piena occupazione. Adesso in molti guardano alla vecchia Jugoslavia con nostalgia. Il capitalismo non ha portato loro niente tranne guerra, miseria e sofferenze.

La situazione della Russia non è migliore. Le contraddizioni qui sono persino più evidenti che in Europa dell’Est. La stragrande maggioranza dei cittadini dell’ex Unione Sovietica non ha tratto benefici dalla restaurazione del capitalismo, che ha creato un’oligarchia spudoratamente ricca, strettamente legata alla criminalità organizzata. Ma si tratta di una piccola minoranza. Per milioni di russi gli ultimi due decenni hanno significato solo miseria, fame, sofferenza e umiliazione. La restaurazione del capitalismo ha significato il crollo del sistema sanitario ed educativo che, a tempi dell’Unione Sovietica, erano gratis per tutti i cittadini, così come il declino della cultura e la generalizzazione di impoverimento e disuguaglianza .

Per un periodo la popolazione ha creduto che il peggio fosse passato e che l’economia si stesse riprendendo dalla profonda depressione che seguì il crollo dell’URSS. Ma adesso la Russia si trova di fronte alla peggiore crisi finanziaria dal crollo del 1998. La caduta del prezzo del petrolio, che riflette la diminuzione della domanda a livello mondiale, ha spinto l’economia nella crisi. Il precedente clima di ottimismo a Mosca è svanito dopo i pesanti crolli del mercato azionario, che ha dovuto essere chiuso a causa delle forti turbolenze. Come nella favola della strega Baba Yaga, il capitalismo russo è una capanna costruita su zampe di pollo. La crisi si manifesta nella contrazione del settore edilizio, in licenziamenti e sulla stretta al credito per le aziende private.

La crisi ha costretto il governo russo a seguire la stessa strada di Washington e Londra, spendendo miliardi di dollari di denaro pubblico per salvare le aziende private. Più di 200 miliardi di dollari sono stati allocati per prestiti, tagli alle tasse ed altre misure. Ma i cittadini russi si chiederanno perchè il denaro pubblico debba essere usato per salvare gli oligarchi che sono diventati ricchi saccheggiando lo stato per tutto l’ultimo periodo. Se si pensa che l’impresa privata e il mercato sono superiori all’economia nazionalizzata e pianificata, perchè ora il settore privato deve essere sostenuto dallo Stato?

La situazione è persino peggiore nelle ex Repubbliche Sovietiche come l’Ucraina, dove la povertà è accompagnata da instabilità politica, corruzione e caos. Per le popolazioni del Caucaso e dell’Asia Centrale si è trattato di un’assoluta calamità. La Georgia, l’Armenia e l’Azerbaigian sono in uno stato di guerra costante e le masse devono sopportare un pesante fardello dovuto alla spesa militare. Il terrorismo si sta estendendo dalla Cecenia occupata alle altre repubbliche. La guerra in Afghanistan minaccia di destabilizzare non solo il Pakistan ma tutta l’Asia Centrale.

C’è un vecchio proverbio che dice: ”La vita insegna”. Molte persone in Russia, Ucraina e Europa orientale stanno pensando: avevamo Tanti problemi prima ma almeno avevamo la piena occupazione, una casa, sanità e istruzione gratuite. Ora questi paesi sono di fronte al tracollo e alla disoccupazione di massa. Le popolazioni del Caucaso vogliono tornare alla pace e alla stabilità. Nessuno vuole il ritorno alla burocrazia e ad una dittatura totalitaria. Ma un regime autenticamente socialista, come la democrazia operaia instaurata da Lenin e Trotsky dopo la Rivoluzione d’Ottobre, non ha nulla in comune con la grottesca caricatura stalinista che è emersa dopo la morte di Lenin.

Questa è stata il risultato dell’isolamento della rivoluzione in condizioni di estrema arretratezza. Ma ora, sulle basi di un’industria avanzata, della scienza e della tecnologia sviluppate nel corso degli ultimi 90 anni, sono state create le condizioni oggettive per un rapido avanzamento verso il socialismo. Quello che ci vuole è la nascita di una federazione socialista, su base volontaria, in cui l’economia sia nelle mani dello stato e lo stato sotto il controllo democratico dei lavoratori e dei contadini. Ma la prima condizione per questo è l’esproprio degli oligarchi, dei banchieri e dei capitalisti.

Il rallentamento dell’economia mondiale sta avendo un considerevole impatto sull’economia cinese. La crescita dell’economia cinese dipende pesantemente dalle esportazioni e durante il picco dell’ultimo boom il tasso annuale di crescita delle esportazioni ha raggiunto la cifra del 38% (nei primi tre trimestri del 2003). Attualmente la cifra dell’ultimo trimestre è scesa intorno al 2% e in concomitanza abbiamo visto anche una forte flessione degli ordini di prodotti industriali negli ultimi mesi. Commentatori borghesi autorevoli stanno dibattendo su cosa sia più probabile tra l’ipotesi di un “graduale rallentamento” o quella di un “brusco crollo” nella produzione cinese.

Stephen Green, un esperto di economia cinese della Standard Chartered, prevede che le esportazioni potrebbero persino diminuire a “zero o addirittura arrivare ad una crescita negativa” entro il prossimo anno. Quanto sia diventato stretto il legame tra l’economia mondiale e la Cina è stato dimostrato da una recente stima di JP Morgan Chase che vede un calo del 5,7% delle esportazioni cinesi per ogni punto percentuale di calo della crescita economica mondiale. Ciò sta provocando massicce chiusure di fabbriche in tutta la Cina con milioni di lavoratori che si ritrovano disoccupati.

Nel 2007 la crescita era al 12% e nel 2008 è già rallentata al 9% e potrebbe diminuire ulteriormente. Nel comprensorio di Hong Kong più di 2 milioni di lavoratori potrebbero perdere il posto di lavoro nel giro di pochi mesi. Ciò è accompagnato dallo scoppio della bolla immobiliare con i prezzi delle case che sono crollati, lasciando molte famiglie cinesi in difficoltà con un mutuo che vale più delle case che hanno comprato. Ciò sta avendo un impatto sul mercato interno. La risposta del governo cinese è stata di approvare un pacchetto di misure economiche per stimolare la crescita.

Per mantenere un certo livello di stabilità sociale devono mantenere la crescita al di sopra dell’8%. È vero che la Cina ha accumulato enormi riserve, ma queste non compenseranno le perdite sul mercato estero man mano che l’economia mondiale scivola sempre più verso la recessione. Di conseguenza si stanno diffondendo agitazioni operaie e c’è già stata un’ondata di proteste che rivendicavano il pagamento dei salari arretrati, con blocchi stradali e picchetti davanti alle fabbriche. Come in Russia e in Europa dell’Est, anche in Cina ci sarà una reazione contro il capitalismo. Le idee di Marx guadagneranno terreno, preparando la strada per un nuovo e inarrestabile movimento verso il socialismo.

Rivendichiamo:

1) La fine delle privatizzazioni e l’abbandono dell’economia di mercato
2) Basta con oligarchi e nuovi ricchi! Rinazionalizzazione delle imprese privatizzate senza indennizzo.
3) Democrazia operaia!
4) Abbasso la burocrazia e la corruzione! I sindacati devono difendere gli interessi dei lavoratori!
5) I partiti comunisti devono portare avanti politiche comuniste! Ritorno al programma di Marx e Lenin!
6) Reintroduzione del monopolio di stato sul commercio estero!

La crisi del “Terzo Mondo”

La crisi attuale indubbiamente colpirà soprattutto i paesi poveri di Africa, Medio Oriente, Asia e America Latina. Persino durante il boom la stragrande maggioranza delle popolazioni di questi paesi ha tratto benefici scarsi se non nulli. C’è stata una profonda polarizzazione tra ricchi e poveri in tutti i paesi. Il 2% della popolazione mondiale detiene attualmente più della metà della ricchezza globale. 1,2 miliardi di uomini, donne e bambini vivono in condizioni di assoluta indigenza. Ogni anno 8 milioni di persone muoiono per la povertà. Questo è il meglio che il capitalismo aveva da offrire. Cosa accadrà ora?

Oltre al crollo delle esportazioni, che colpirà tutti i beni compreso il petrolio (eccetto l’oro e l’argento), si trovano a dover affrontare l’aumento del prezzo dei generi alimentari, che deriva in gran parte dalla speculazione. Un recente rapporto del Banco Interamericano ha suonato un campanello d’allarme sul fatto che l’aumento del prezzo dei generi alimentari spingerà nella povertà assoluta 26 milioni di persone in America Latina. Il presidente della Banca  Mondiale Robert Zoellick ha fatto presente che i più poveri a livello mondiale devono affrontare “la triplice minaccia” riguardante il cibo, il carburante e la finanza: “Non si può chiedere ai più poveri di pagare il prezzo più alto. Stimiamo che quest’anno 44 milioni di persone in più soffriranno di malnutrizione come conseguenza degli alti prezzi del cibo. Non possiamo far sì che una crisi finanziaria diventi una crisi umanitaria.” Belle parole, ma come dice un vecchio proverbio inglese, “con le belle parole non ci si imburra il pane”.

La povertà e la fame nel mondo aumenteranno come risultato della crisi finanziaria globale e delle misure di “aggiustamento strutturale” dettate dal Fondo Monetario Internazionale. Quest’ultima è la conclusione ineluttabile dell’ultimo rapporto sulla povertà mondiale pubblicato dalla Banca Mondiale. Questa ha calcolato che il numero di persone costrette a vivere con meno di un dollaro al giorno sta aumentando e potrebbe raggiungere 1,5 miliardi entro la fine di quest’anno. Circa 200 milioni di persone sono cadute in condizioni di povertà totale rispetto alle stime del 1993. La previsione di crescita del Pil procapite nel Medio Oriente e in Nord Africa è negativa. Riassumendo la situazione, il responsabile della Banca Mondiale per la Riduzione della Povertà e la Gestione Economica Michael Walton ha detto: “Lo scenario mondiale che è emerso alla fine degli anni novanta è di progresso stagnante in conseguenza della crisi dell’Est asiatico, di aumento del numero dei poveri in India e nell’Africa Sub-Sahariana e di un drastico peggioramento in Europa e in Asia Centrale”.

Nella sola Indonesia, la quantità di persone costrette a vivere con meno di un dollaro al giorno è aumentata dall’11% nel 1997 al 19,9% nel 1998, cosa che implica un incremento di 20 milioni tra le fila dei “nuovi poveri” – corrispondente alla popolazione di una nazione di medie dimensioni come l’Australia. In Corea del Sud l’incidenza della povertà nelle zone urbane è salita dall’8,6% nel 1997 al 19,2% nel 2007. Il numero di persone con meno di un dollaro al giorno in India ha raggiunto i 340 milioni, dalla stima della fine degli anni ’80 di 300 milioni. Recenti dati sulla stagnazione nelle aree rurali fanno pensare che ci siano stati ulteriori aumenti della povertà nel paese. E ciò accadeva durante un boom economico con tassi di crescita di quasi il 10% su base annua. Cifre ufficiali stimano che la crescita economica si sta già arrestando. Nell’agosto 2008 la crescita industriale era all’1,3% su base annua, un risultato molto basso se confrontato con la crescita di oltre il 10% dell’anno precedente.

Il Fmi chiede che i paesi poveri aprano i loro mercati alla penetrazione del capitale internazionale, che taglino la spesa pubblica, eliminino i sussidi sui generi alimentari e altri beni di largo consumo e che privatizzino le imprese statali. Lo scopo presunto sarebbe la promozione di una “crescita economica sostenibile”. In realtà ciò significa la distruzione dell’industria nazionale e dell’agricoltura e un drastico aumento della disoccupazione e della povertà.

Un recente studio ha mostrato che nel 1997 e nel 1998 c’è stato un trasferimento netto di pagamenti di più di un miliardo di dollari dai governi africani al FMI. Comunque, nonostante queste restituzioni, il debito totale africano continua a crescere con un tasso del 3%. Mentre i paesi africani necessitano urgentemente di aumentare la spesa per il sistema sanitario ed educativo, le misure di aggiustamento strutturale del FMI li hanno costretti a tagliare queste voci di spesa, con una spesa pro capite per l’istruzione in calo tra il 1986 e il 1996.

La catastrofe del “Terzo Mondo” è frutto dell’azione dell’uomo. Non c’è niente di automatico. Infatti nessuno nel primo decennio del 21° secolo dovrebbe morire di fame. I soldi che sono stati dati alle banche avrebbero potuto risolvere il problema della fame nel mondo, salvando milioni di vite. Nel giugno del 2008 l’Organizzazione Mondiale del Cibo ha chiesto 30 miliardi per stimolare l’agricoltura e prevenire future scarsità di generi alimentari. Ne ha ricevuti solo 7,5 miliardi, pagabili in 4 anni, che maturano circa 1,8 miliardi all’anno. Ciò corrisponde a 2 dollari al giorno per ogni persona che muore di fame.

Nell’Occidente è consuetudine porre la “soluzione” dei problemi di questi paesi in termini di aiuti. I paesi “ricchi” fanno a gara per dare soldi ai paesi “poveri”. Ma le misere cifre dei cosiddetti aiuti rappresentano in primis solo una minuscola parte della ricchezza che è stata succhiata dall’Asia, dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’America Latina. In secondo luogo, questi aiuti sono spesso legati agli interessi commerciali, militari o diplomatici dei paesi donatori e quindi rappresentano un mezzo per aumentare la subordinazione delle nazioni ex coloniali ai loro ex oppressori.

In ogni caso, è inaccettabile che paesi con risorse molto vaste siano ridotti a chiedere l’elemosina come mendicanti che raccolgono le briciole dalla tavola del padrone. Si deve prima di tutto rompere il dominio imperialista e rovesciare i governi locali corrotti che non sono altro che scagnozzi dell’imperialismo e delle grandi multinazionali. Né gli aiuti né la carità ma solo un cambiamento decisivo nella società è la risposta alla povertà mondiale.

In molti paesi, dopo anni di arretramenti e logoramento, la classe operaia sta ritornando a lottare. La lotta del popolo palestinese contro l’oppressione israeliana continua. Ma la chiave del futuro è nelle mani della potente classe lavoratrice di paesi come il Sud Africa, la Nigeria e l’Egitto. In Egitto abbiamo assistito ad un’ondata di scioperi e occupazioni di fabbriche contro le privatizzazioni e in difesa dei posti di lavoro, come il vittorioso sciopero con l’occupazione della fabbrica di oltre 20,000 lavoratori del complesso tessile di Mahalla. Anche i lavoratori iraniani si stanno mobilitando. C’è stata una massiccia ondata di scioperi che ha coinvolto molti settori della classe lavoratrice: autisti dei bus, lavoratori dei cantieri, tessili, ferrovieri, i lavoratori dello zuccherificio di Haft-Tapeh, lavoratori del settore petrolifero e di altri settori. Questi scioperi possono cominciare con rivendicazioni economiche ma, data la natura del regime, inevitabilmente acquisiranno un carattere sempre più politico e rivoluzionario.

In Nigeria, i lavoratori hanno organizzato una serie di scioperi generali (8 negli ultimi 8 anni!), paralizzando il paese e ponendo la questione del potere, solo per poi essere abbandonati ancora una volta dai dirigenti sindacali. Anche in Sud Africa l’imponente movimento dei lavoratori ha organizzato uno sciopero generale dopo l’altro, i più recenti nel giugno 2007 e nell’agosto 2008. Abbiamo visto massicce mobilitazioni dei lavoratori in Marocco, Giordania e Libano e anche in Israele, il bastione della reazione nel Medio Oriente. Ci sono stati movimenti di massa dei lavoratori e dei contadini anche in Pakistan, India, Bangladesh e Nepal, dove la monarchia è stata rovesciata.

L’America Latina è nel pieno di un movimento rivoluzionario dalla Terra del Fuoco al Rio Grande con all’avanguardia il Venezuela. Gli appelli di Hugo Chávez per il socialismo non sono caduti nel vuoto. L’idea del socialismo è di nuovo all’ordine del giorno. In Bolivia e in Ecuador il movimento delle masse contro il capitalismo e l’imperialismo sta avanzando nonostante la feroce resistenza delle oligarchie spalleggiate da Washington. E’ necessario mettere all’ordine del giorno la lotta per politiche di classe, per la solidarietà proletaria internazionale e la lotta per il socialismo come unica soluzione duratura ai problemi delle masse.

Rivendichiamo:

1) La cancellazione immediata di tutti i debiti del Terzo Mondo.
2) No al latifondismo e il capitalismo!
3) Espropriazione dei grandi proprietari terrieri e riforma agraria. Dovunque sia possibile, le grandi tenute dovrebbero essere gestite collettivamente, usando tecniche moderne per migliorare la produzione.
4) Libertà dal dominio imperialista! Nazionalizzazione delle proprietà delle grandi multinazionali.
5) Un programma d’urto per l’abolizione dell’analfabetismo e la formazione di forza lavoro competente ed istruita.
6) Per un servizio sanitario gratis e accessibile a tutti.
7) Basta con l’oppressione della donna! Piena uguaglianza dal punto di vista legale, sociale ed economica per le donne!
8) Basta con la corruzione e dell’oppressione! Pieni diritti democratici e rovesciamento dei lacchè dell’imperialismo.

Contro l’imperialismo!

L’aspetto più impressionante della situazione attuale è il caos e la turbolenza che hanno invaso l’intero pianeta. C’è instabilità a tutti i livelli: economico, sociale, politico, diplomatico e militare. Dappertutto ci sono guerre o minacce di guerre: l’invasione dell’Afghanistan è stata seguita dall’occupazione dell’Iraq persino più sanguinaria e criminale. Ci sono state guerre ovunque: nei Balcani, in Libano e Gaza, in Darfur, Somalia, Uganda. In Congo circa 5 milioni di persone sono state massacrate negli ultimi anni e le Nazioni Unite e la cosiddetta comunità internazionale non ha mosso un dito.

Consapevole della sua potenza, Washington sostituisce la “normale” diplomazia con la più spudorata arroganza. Il suo messaggio è brutalmente chiaro: “fate come diciamo o vi bombarderemo e invaderemo”. L’ex presidente del Pakistan, il generale Pervez Musharraf, ha rivelato che subito dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 gli Stati Uniti minacciarono di “ricacciare il suo paese all’era della pietra” se non avesse offerto la sua collaborazione nella guerra contro il terrorismo e i talebani. Ora che Musharraf non c’è più, l’aviazione statunitense sta di fatto bombardando il territorio pakistano.

L’imperialismo americano ha invaso l’Iraq con il falso pretesto che il paese possedesse armi di distruzione di massa. Spiegavano che Saddam Hussein era uno spietato dittatore cha assassinava e torturava la sua gente. Ora le Nazioni Unite sono costrette ad ammettere che nell’Iraq occupato l’omicidio di massa e la tortura sono endemici. Secondo un recente sondaggio, il 70% degli iracheni pensa che la vita fosse migliore sotto Saddam.

La “guerra al terrorismo” ha portato su scala mondiale più terrorismo di quanto ce ne sia mai stato prima. Dovunque siano andati, gli imperialisti americani hanno provocato distruzione e sofferenza mai viste. Le tremende scene di morte e distruzione in Iraq e in Afghanistan ricordano le parole dello storico romano Tacito: “E quando hanno creato il deserto, lo chiamano pace”. Ma in confronto alla potenza dell’imperialismo statunitense, quella dell’impero romano era un gioco da ragazzi. Non contenta dell’invasione dell’Iraq, Washington minaccia la Siria e l’Iran. Ha provocato la destabilizzazione dell’Asia centrale. Cerca continuamente di rovesciare il governo democraticamente eletto del Venezuela e di assassinare il presidente Chavez. Sta cercando di ridurre di nuovo Cuba allo status di una semi-colonia e organizza attentati terroristici contro l’isola.

La maggior parte della persone prova disgusto per queste barbarie. Sembra che il mondo si sia improvvisamente impazzito. Tuttavia, una tale reazione è inutile e controproducente. La situazione in cui si trova attualmente il genere umano non può essere spiegata come un’espressione della follia o della relativa immoralità degli uomini e delle donne. Il grande filosofo Spinoza una volta disse: “nè piangere, nè ridere, ma capire!”. Si tratta di un consiglio molto sensato, perchè se non sappiamo capire il mondo in cui viviamo, non saremo mai in grado di cambiarlo. La storia non è senza senso: può essere spiegata e il marxismo fornisce una spiegazione scientifica.

Non ha senso affrontare la questione della guerra da un punto di vista sentimentale. Clausewitz disse molto tempo fa che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Questo marasma cruento in cui viviamo è il riflesso di qualcosa. È l’espressione delle contraddizioni insolubili che il capitalismo deve affrontare su scala mondiale. Sono le convulsioni di un sistema socio-economico che si trova in un impasse. Abbiamo già visto situazioni simili nella storia mondiale, durante il lungo declino dell’impero romano così come nel periodo di tramonto del feudalesimo. L’attuale instabilità globale è semplicemente l’espressione del fatto che il capitalismo ha esaurito il suo potenziale storico e non è più in grado di sviluppare le forze produttive come ha fatto in passato.

Il capitalismo, nella sua fase senile, assediato da tutte le parti da contraddizioni insolubili, reagisce con le politiche imperialiste più brutali che si siano mai viste prima. La galoppante corsa agli armamenti sta consumando una porzione sempre più grande della ricchezza prodotta dal proletariato. Gli USA, che sono attualmente l’unica superpotenza mondiale, spendono ogni anno circa 600 miliardi di dollari in armi, che corrisponde a quasi il 40% della spesa militare totale a livello mondiale. Al contrario, l’Inghilterra, la Francia e la Germania rappresentano circa il 5% ciascuna, mentre la Russia, incredibilmente, pesa solamente per il 6% circa. Questa situazione costituisce una minaccia per il futuro dell’umanità.

Le enormi somme spese per le armi potrebbero da sole essere sufficienti per risolvere il problema della povertà a livello mondiale. Secondo una stima, il costo totale della sola guerra in Iraq per gli USA sarebbe stato di 3000 miliardi di dollari. Tutti riconoscono che si tratta di una follia. Ma il disarmo lo si può ottenere solamente con un cambiamento sostanziale della società. La liquidazione dell’imperialismo si può raggiungere solo abbattendo il capitalismo e il dominio delle banche e dei monopoli, stabilendo un ordine mondiale razionale basato sui bisogni delle persone, e non sulla lotta vorace per l’accaparramento di mercati, materie prime e sfere di influenza, vera causa delle guerre.

Rivendichiamo:

1) Opposizione alle guerre reazionarie intraprese dall’imperialismo.
2) Ritiro immediato di tutte le truppe straniere dall’Iraq e dall’Afghanistan.
3) Un netto taglio alle spese per gli armamenti e un massiccio aumento della spesa sociale.
4) Pieni diritti civili per i soldati, compreso il diritto di iscriversi ai sindacati e il diritto di sciopero.
5) In difesa del Venezuela, di Cuba e della Bolivia, contro i piani aggressivi di Washington!
6) Contro il razzismo! In difesa dei diritti di tutti i popoli oppressi e sfruttati! Per l’unità di tutti i lavoratori, indipendentemente dal colore della pelle, dalla razza, dalla nazionalità o dalla religione.
7) Per l’internazionalismo proletario! Lavoratori di tutto il mondo unitevi!

Per un mondo socialista!

Il mercato non può essere pianificato o regolato. Non risponde alle misure prese dai governi nazionali. Il presidente della Banca Mondiale è arrivato vicino ad ammetterlo quando ha detto: “Il G7 non sta funzionando. Abbiamo bisogno di un gruppo migliore per tempi migliori”. Ma tempi migliori non sono in vista. Il FMI non può garantire per il mondo intero. E la crisi che ci troviamo ormai di fronte è diffusa a livello mondiale, nessun paese può sfuggire. La crisi è globale e richiede una soluzione globale. Questa può essere fornita solo dal socialismo.  

Nel Medio Evo la produzione era limitata a livello dei mercati locali. Persino il trasferimento delle merci da una città ad un’altra implicava il pagamento di pedaggi, tasse e altri dazi. Il rovesciamento di queste restrizioni feudali e la formazione dei mercati e degli stati nazionali era la condizione primaria per lo sviluppo del capitalismo moderno. Nel 21° secolo, tuttavia, gli stati e i mercati nazionali sono troppo ristretti per contenere lo straordinario sviluppo dell’industria, dell’agricoltura, della scienza e della tecnologia. Il mercato mondiale è scaturito dall’insieme dei mercati nazionali. Karl Marx lo già aveva previsto in una brillante prospettiva nel Manifesto del partito comunista più di 150 anni fa. Lo schiacciante dominio del mercato mondiale è oggi la caratteristica principale dell’epoca moderna.

Ai suoi esordi il capitalismo ha giocato un ruolo progressista nello spazzare via le vecchie barriere e le restrizioni feudali e nella formazione del mercato nazionale. Successivamente, l’espansione del capitalismo ha dato vita al mercato mondiale, il cui dominio è la caratteristica principale dell’epoca moderna. L’avvento della globalizzazione è un’espressione del fatto che lo sviluppo delle forze produttive è andato oltre i ristretti limiti degli stati nazionali. Comunque, la globalizzazione non abolisce le contraddizioni del capitalismo, ma semplicemente le riproduce su una scala più grande. Per un periodo, il capitalismo è riuscito a superare le sue contraddizioni aumentando il commercio mondiale (globalizzazione). Per la prima volta nella storia il mondo intero è stato coinvolto nel mercato mondiale. I capitalisti hanno trovato nuovi mercati e strade spianate per gli investimenti in Cina ed in altri paesi. Ma ciò ora ha raggiunto i suoi limiti.

La crisi attuale è, in ultima analisi, un’espressione della rivolta delle forze produttive contro la camicia di forza della proprietà privata e dello stato nazionale. La crisi attuale è di natura globale. La globalizzazione si rivela come una crisi globale del capitalismo. È impossibile risolverla su base nazionale. Tutti gli esperti sono d’accordo sul fatto che i problemi del pianeta non possono essere risolti su questa base. Il problema della fame nel mondo è stato ampiamente esacerbato dalla produzione di eco-carburanti negli USA, che è negli interessi delle grandi agro-industrie, ma di nessun altro. Solo un’economia pianificata a livello globale può mettere fine a questa follia.

Nella sua insaziabile ingordigia di profitti, il sistema capitalista ha messo in pericolo l’intero pianeta. Un sistema economico che razzia il pianeta in cerca di soldi, che distrugge l’ambiente, sradica le foreste pluviali, avvelena l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e il cibo che mangiamo, non è adatto a sopravvivere. Le strade delle nostre grandi città sono intasate di veicoli privati. La congestione del traffico ha significato che, solo nel 2003, le persone hanno speso 7 miliardi di ore e sprecato 5 miliardi di galloni di carburante in ingorghi stradali. La mancanza di una pianificazione sta portando al collasso delle infrastrutture per i trasporti e al deterioramento dell’ambiente provocato dalle emissioni di gas serra  e inquinanti atmosferici, 60-70% dei quali sono emessi dai veicoli.

Non entriamo nel dettaglio del tremendo costo umano di questa follia: gli incidenti, le persone uccise e menomate, lo stress insopportabile, le condizioni disumane, il rumore e il caos. La perdita in termini di produttività è colossale. E comunque tutto questo potrebbe essere facilmente risolto con un sistema di trasporti pubblici integrato, che potrebbe essere gratis o quasi. Il trasporto aereo, ferroviario e fluviale dovrebbe essere di proprietà statale e integrato razionalmente per andare incontro ai bisogni dell’umanità.

L’esistenza del capitalismo rappresenta una minaccia non solo per le condizioni di vita e di lavoro, ma anche per il futuro del pianeta e della vita sulla Terra.

È un’utopia?

Mediante una maggiore partecipazione al mercato mondiale, i banchieri e i capitalisti hanno ottenuto superprofitti favolosi nell’ultimo periodo. Adesso, però, questo processo ha raggiunto i suoi limiti: tutti i fattori che sono serviti a spingere al rialzo l’economia mondiale nell’ultimo periodo, ora stanno combinando i loro effetti nello spingerla verso il basso. La domanda, che era stata gonfiata artificialmente dai bassi tassi di interesse nell’ultimo periodo, si è ora fortemente contratta. La gravità della “correzione” riflette la fiducia esagerata e la “esuberanza irrazionale” del periodo precedente.

Proprio ome nel periodo del declino feudale le vecchie barriere, i pedaggi, le tasse e le valute locali erano diventati ostacoli intollerabili per lo sviluppo delle forze produttive, così gli odierni Stati-nazione con frontiere nazionali, passaporti, controlli sulle importazioni, restrizioni all’immigrazione e dazi protezionistici sono diventati una barriera che impedisce il libero movimento dei beni e delle persone. Il libero sviluppo delle forze produttive, la sola vera garanzia per lo sviluppo della civiltà e della cultura umane, richiede l’abolizione di tutte le frontiere e l’instaurazione di una repubblica universale.

Uno sviluppo di questo tipo sarà possibile soltanto sotto il socialismo; sua condizione previa è l’abolizione della proprietà privata dei gangli vitali dell’economia: la proprietà comune della terra, delle banche e delle principali industrie. Un piano comune di produzione è il solo modo per mobilitare il potenziale colossale dell’industria, dell’agricoltore, della scienza e della tecnica. Ciò significherebbe un sistema economico basato sulla produzione per i bisogni di molti, non per i profitti di pochi.

Un’Europa socialista, una federazione socialista dell’America Latina o del Medio Oriente aprirebbero nuove impressionanti prospettive per lo sviluppo umano. L’obiettivo finale è una Federazione socialista mondiale, in cui le risorse dell’intero pianeta sarebbero sfruttate per il beneficio di tutta l’umanità. Guerre, disoccupazione, fame e privazioni diventerebbero solo brutti ricordi del passato, come un incubo quasi dimenticato.

Alcuni diranno che è utopico, cioè che è qualcosa che non può essere realizzato. Eppure, se avessimo spiegato ad un contadino medioevale la prospettiva di un’economia mondiale con computer e viaggi spaziali, avrebbe reagito esattamente nello stesso modo. E in fondo, a pensarci, è davvero così difficile? Il potenziale delle forze produttive è tale che tutti i problemi che tormentano la razza umana (povertà, carenza di abitazioni, fame, malattie e analfabetismo) potrebbero essere facilmente risolti. Le risorse ci sono; quel che serve è un sistema economico razionale che possa metterle a frutto.

Le condizioni oggettive per il socialismo sono già presenti. È davvero un’utopia? Solo degli scettici di strette vedute, senza conoscenza della storia né prospettiva del futuro, potrebbero sostenerlo. La domanda che va posta è questa: nel primo decennio del 21° secolo, è accettabile che la vita, il lavoro e la casa di ogni persona al mondo siano determinati nello stesso modo in cui un giocatore d’azzardo scommette al casinò? Veramente crediamo che l’umanità non possa escogitare un sistema migliore del cieco gioco delle forze di mercato?

I difensori del cosiddetto libero mercato non possono produrre alcuna argomentazione razionale che possa giustificare una supposizione così assurda. Al posto di argomentazioni logiche si limitano alla mera asserzione che questo è uno stato di cose naturale e inevitabile, e che in ogni caso non c’è alternativa. Questa non è un’argomentazione coerente ma soltanto un ottuso pregiudizio. Sperano che, ripetendo costantemente lo stesso mantra, la gente finisca per crederci; ma è la vita stessa che ha smentito la menzogna che “l’economia di libero mercato funziona”. La nostra stessa esperienza e la testimonianza dei nostri occhi ci dice che non funziona, che è un sistema di spreco, caos, barbarie ed irrazionalità che rovina la vita di milioni di persone per il profitto di pochi.

Il sistema capitalista è spacciato perché non è neppure capace di nutrire la popolazione del  mondo. La sua ulteriore sopravvivenza minaccia il futuro della civiltà e della cultura e mette a rischio la stessa continuazione della vita. Il sistema capitalista deve morire perché la razza umana possa vivere. Nella futura società socialista, uomini e donne liberi si volgeranno indietro a guardare il mondo odierno con lo stesso senso di incredulità che noi abbiamo quando contempliamo il mondo dei cannibali; e anche per i cannibali un mondo in cui gli uomini e le donne non si mangiassero a vicenda sembrava utopico.

Crisi di direzione

Nel 1938 Lev Trotskij scriveva: "Tutte le chiacchiere sul fatto che le condizioni storiche per il socialismo non sarebbero ancora maturate sono il prodotto dell’ignoranza o deliberatamente di un inganno. I prerequisiti oggettivi per la rivoluzione proletaria non solo sono “maturi”: hanno fin cominciato un po’ a marcire. Nel prossimo periodo, nsomma, senza una rivoluzione socialista, una catastrofe minaccia l’intera cultura umana. Ora tocca al proletariato, ossia principalmente alla sua avanguardia rivoluzionaria. La crisi storica dell’umanità si riduce alla crisi della direzione rivoluzionaria".

La classe operaia ha formato molto tempo fa dei partiti per difendere i suoi interessi e cambiare la società. Alcuni di questi partiti si chiamano partiti socialisti, altri laburisti, comunisti o di sinistra; ma nessuno di loro sostiene una politica comunista o socialista. Il lungo periodo di ascesa del capitalismo dopo la Seconda guerra mondiale ha posto il marchio finale sulla degenerazione burocratica e riformista delle organizzazioni di massa del proletariato. I dirigenti dei sindacati così come quelli dei partiti socialisti e comunisti hanno ceduto alle pressioni della borghesia e la maggior parte di loro ha da lungo tempo abbandonato ogni falsa pretesa di voler cambiare la società.

I dirigenti dei partiti operai tradizionali, i socialdemocratici e i laburisti, sono completamente compromessi coi capitalisti e il loro Stato. Loro malgrado, sono stati costretti a nazionalizzare le banche, ma lo hanno fatto in un modo che si riduce ad un enorme sussidio ai banchieri che non beneficia affatto la popolazione. Noi chiediamo la nazionalizzazione dell’intero settore bancario e finanziario, con minime compensazioni basate solo su casi di comprovata  necessità.

I leader degli ex partiti comunisti in Russia, in Europa Orientale e in molti altri Paesi hanno completamente abbandonato il programma rivoluzionario di Marx e Lenin. Abbiamo di fronte a noi un’evidente contraddizione: proprio in un momento in cui il capitalismo è in crisi ovunque e milioni di uomini e donne stanno sperando in un cambiamento radicale della società, i dirigenti delle organizzazioni di massa si aggrappano ancora più tenacemente all’ordine costituito. Come ha sottolineato Trotskij molto tempo fa: la situazione politica mondiale è nel suo complesso caratterizzata principalmente da una crisi storica della direzione del proletariato.

Non possiamo permettere che dei dirigenti che parlano nel nome del socialismo e della classe operaia, o anche della “democrazia”, si incarichino di effettuare giganteschi salvataggi di banche private, il che significa un grosso incremento del debito pubblico che sarà pagato con anni di tagli ed austerity. Ciò è fatto nel nome degli “interessi generali”, ma è in realtà una misura nell’interesse dei ricchi e contro gli interessi della maggioranza. Questa situazione però non può durare.

Non c’è alternativa per la classe lavoratrice al di fuori delle organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio. In condizioni di crisi del capitalismo, le organizzazioni di massa saranno scosse da cima a fondo: cominciando dai sindacati, i dirigenti più moderati subiranno la pressione della base; o si piegheranno a questa pressione e inizieranno a riflettere le spinte dal basso, oppure saranno messi da parte e sostituiti con chi è più in contatto con il punto di vista e le aspirazioni dei lavoratori. Il nostro compito è portare le idee del marxismo nel movimento operaio e conquistare la classe operaia alle idee del socialismo scientifico. Più di 150 anni fa, Marx ed Engels proclamarono nel Manifesto del Partito Comunista:

In che rapporto sono i comunisti con i proletari in genere?

I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.

I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.

I comunisti non pongono princìpi speciali sui quali vogliano modellare il movimento proletario.

I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell'intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia.

Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato, di comprendere le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario.

I marxisti comprendono il ruolo delle organizzazioni di massa. Noi non confondiamo i dirigenti con la massa dei lavoratori che stanno dietro di loro. Un abisso separa gli opportunisti e i carrieristi a livello di direzione dalla classe che li vota; la crisi che si sta sviluppando paleserà la profondità di questo abisso e lo porterà fino ad un punto di rottura. Tuttavia, la classe operaia resta aggrappata alle organizzazioni di massa,  nonostante la politica della loro direzione, perché non c’è alternativa. La classe operaia non capisce le piccole organizzazioni: tutti i tentativi delle sette di creare “partiti rivoluzionari di massa” fuori dalle organizzazioni di massa sono falliti miseramente e sono destinati a fallire ancora in futuro.

Noi sfideremo i vecchi gruppi dirigenti e combatteremo contro le loro politiche fallimentari. Noi esigiamo che rompano coi banchieri e i capitalisti e che portino avanti una linea che sia negli interessi dei lavoratori e dei ceti medi. Nel 1917 Lenin e i bolscevichi dissero ai dirigenti menscevichi e SR: “Rompete con la borghesia, prendete il potere!”; ma i menscevichi e i socialrivoluzionari si rifiutarono ostinatamente di farlo: si aggrapparono alla borghesia e in questo modo favorirono la vittoria dei bolscevichi. Alla stessa maniera, noi facciamo appello a questi partiti e organizzazioni, che si basano sui lavoratori e parlano a loro nome, a rompere politicamente con la borghesia e a lottare per un governo a favore del socialismo con un programma di tipo socialista.

Daremo un appoggio critico ai partiti operai di massa contro i partiti dei banchieri e dei capitalisti, però devono portare avanti delle politiche che siano negli interessi della classe operaia.  In nessun modo la recessione può essere contenuto da misure palliative prese dai governi e dalle banche centrali. Delle misure parziali non forniranno una via d’uscita. Il problema è che in tutti i paesi le organizzazioni di massa dei lavoratori non difendono la prospettiva di un cambiamento fondamentale della società; eppure è precisamente ciò di cui c’è bisogno.

Le condizioni sociali d’esistenza determinano la coscienza. In genere, la classe operaia apprende dall’esperienza, e l’esperienza della crisi del capitalismo la porterà ad imparare in fretta. Aiuteremo i lavoratori a trarre tutte le conclusioni necessarie, non con denunce isteriche ma con spiegazioni pazienti e un lavoro sistematico nelle organizzazioni di massa. La gente si sta ponendo domande e sta cercando risposte. Il compito dei marxisti è solo quello di rendere conscio il desiderio inconscio o semi-inconscio della classe operaia di cambiare la società.

Contro il settarismo!
Rivolgersi alle organizzazioni di massa della classe operaia!
Lottare per trasformare i sindacati!
Lottare per un programma marxista!

Aiutateci a costruire la Tmi!

Non basta lamentarsi per la situazione in cui si trova il mondo: è necessario agire! Quelli che dicono “Non sono interessato alla politica” dovrebbero essere nati in un’altra epoca. Al giorno d’oggi, non è possibile fuggire dalla politica. Provateci! Potete correre a casa, chiudere la porta e nascondervi sotto il letto: ma la politica verrà a casa vostra e busserà alla porta. La politica influenza ogni aspetto della nostra vita. Il problema è che molte persone identificano la politica con i partiti politici esistenti e i loro leader: danno un’occhiata ai dibattiti in parlamento, al carrierismo, ai discorsi vuoti, alle promesse mai mantenute e restano disgustati.

Gli anarchici ne traggono la conclusioni che non abbiamo bisogno di un partito. Questo è un errore. Se la mia casa sta cadendo a pezzi, non ne deduco che devo dormire in strada ma che devono urgentemente cominciare a ripararla. Se sono insoddisfatto della attuale leadership dei sindacati e dei partiti operai, devo lottare per una direzione alternativa, con una politica e un programma adeguati ai miei bisogni.

La Tendenza Marxista Internazionale sta lottando per il socialismo in quaranta paesi nei cinque continenti. Poggiamo fermamente sulle fondamenta del marxismo. Difendiamo le idee basilari, i principi, il programma e le tradizioni elaborati da Marx, Engels, Lenin e Trotskij. Al momento la nostra voce è ancora flebile. Per lungo tempo i marxisti sono stati costretti a nuotare controcorrente. La Tendenza Marxista Internazionale ha dimostrato la sua capacità di mantenere la sua fermezza in condizioni avverse. Ora però stiamo cavalcando l’onda della storia. Tutte le nostre prospettive sono state confermate dal procedere degli eventi; questo ci dà una fiducia incrollabile nelle idee e nei metodi del marxismo, nella clase operaia e nel futuro socialista dell’umanità.

Iniziando dai lavoratori e dai giovani più avanzati, la nostra voce raggiungerà la massa dei lavoratori in ogni fabbrica, in ogni sezione sindacale, in ogni consiglio di fabbrica, in ogni scuola e università, in ogni quartiere operaio. Per portare avanti questo lavoro abbiamo bisogno del vostro aiuto. Ci servono persone che scrivano articoli, che vendano giornali, che raccolgano fondi e che portino avanti il nostro lavoro nel movimento sindacale e nella sinistra. Nella lotta per il socialismo, nessun contributo è troppo piccolo e ciascuno può giocare un suo ruolo; vogliamo che anche voi giochiate il vostro. Non pensate: “Io non posso fare la differenza”. Insieme, organizzati, possiamo fare una differenza decisiva.

La classe operaia ha nelle sue mani un potere formidabile. Senza il permesso dei lavoratori, non si accende una lampadina, non gira una ruota, non squilla un telefono. Il problema è che i lavoratori non si rendono conto di avere questo potere; il nostro compito è fargliene prendere coscienza. Lotteremo per ogni riforma, per ogni miglioramento non importa quanto modesto, perché solo attraverso la lotta quotidiana per i loro diritti sotto il capitalismo i lavoratori acquisiranno la fiducia nelle loro forze necessaria per cambiare la società.

Ovunque lo stato d’animo delle masse sta cambiando. In America Latina c’è un fermento rivoluzionario, che si intensificherà e si diffonderà ad altri continenti. In Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in altre nazioni industrializzate molte persone che prima non mettevano in discussione l’ordine sociale esistente stanno adesso ponendosi delle domande. Idee che in precedenza erano ascoltate solo da piccoli gruppi di persone troveranno un’eco presso un pubblico di gran lunga più ampio. Si sta preparando il terreno per un’ascesa senza precedenti della lotta di classe su scala mondiale.

Quando l’Urss crollò, ci dissero che la storia era finita. Al contrario, la storia non è ancora iniziata. Nel giro di 20 anni il capitalismo si è palesemente dimostrato un fallimento. Bisogna lottare per un’alternativa socialista! Il nostro scopo è ottenere un cambiamento fondamentale nella società e lottare per il socialismo su scala nazionale ed internazionale. Noi stiamo lottando per la causa più importante: l’emancipazione della classe operaia e l’instaurazione di una forma nuova e superiore di società umana. Questa è l’unica causa che abbia veramente valore nel primo decennio del 21° secolo.

Unisciti a noi!

Londra, 30 ottobre 2008.

Source: FalceMartello