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La rivoluzione araba è fonte di ispirazione per i lavoratori e i giovani di tutto il mondo. Ha scosso tutti i paesi del Medio Oriente alle fondamenta e le sue ripercussioni si fanno sentire in tutto il pianeta. Gli eventi drammatici in Nord Africa e in Egitto segnano una svolta decisiva nella storia. Non sono incidenti isolati ma parte del processo generale della rivoluzione mondiale.

Sabato 19 marzo oltre 18 milioni di egiziani si sono recati alle urne. Sono stati chiamati a decidere sulle modifiche alla Costituzione proposte dal Comitato Costituzionale nominato dal Consiglio  supremo delle forze armate, che guida il paese  dalla caduta di Mubarak l’11 febbraio scorso.

Mentre scriviamo, martedì 15, Brega è caduta forse definitivamente sotto il controllo delle forze di Gheddafi. Quest'ultime sono entrate anche ad Ajdabiya. Da lì a Bengasi ci sono 160 km e 2 ore di viaggio. Se le notizie dall'est del paese sono confuse, sono praticamente assenti nell'ovest.

“Io credo veramente che la rivoluzione ci ha cambiato. La gente si comporta diversamente gli uni con gli altri” Queste sono le parole della signora Kamel, 50 anni, una delle tante donne che erano in piazza Tahrir, partecipando attivamente alla rivoluzione.

Pubblichiamo questo articolo apparso mercoledì scorso sul sito In defence of Marxism. Nella guerra civile che infuria in Libia alcune descrizioni degli avvenimenti possono essere superate, ma la posizione politica difesa conserva tutta la sua validità

Dalla metà di febbraio si stanno svolgendo, nel Wisconsin (Stati uniti), manifestazioni sempre più partecipate di lavoratori del settore pubblico per difendere i salari e il loro diritto alla rappresentanza sindacale, che stanno diventando una sorta di “Piazza Tahrir” americana, un punto di riferimento per i lavoratori di tutto il paese che sono sotto attacco.

Durante le proteste del 10 febbraio, in Marocco, lo stato ha scatenato le forze di sicurezza contro le masse, causando almeno nove morti e procedendo ad arresti indiscriminati. Uno degli attivisti arrestati e brutalmente torturati è un compagno della Lega di Azione Comunista (LAC), la sezione della TMI in Marocco. Pubblichiamo un appello dei compagni della LAC. Chiediamo a tutti i nostri lettori di partecipare alle protesta contro la repressione.

La Zastava non c’è più. Dopo vent’anni di transizione agonizzante da un’economia “autogestita” a pianificazione centralizzata al capitalismo, la fabbrica, che una volta si ergeva a simbolo della prosperità e dello sviluppo post-bellici nella vecchia Yugoslavia, sta per essere cancellata dal registro statale delle società per lasciare spazio alla multinazionale italiana FIAT. Al suo apice verso la fine degli anni Ottanta la Crvena Zastava (Bandiera Rossa) come veniva all’epoca chiamata impiegava qualcosa come 35.000 operai che producevano più di 230.000 automobili all’ann, con altre 130.000 persone impiegate nelle fabbriche che producevano vari componenti in tutta la

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Nonostante gli appelli da parte del Consiglio dell’Esercito per far terminare gli scioperi, i lavoratori egiziani, incoraggiati dalla rivoluzione, continuano a sviluppare scioperi di massa per risolvere i loro problemi ormai annosi. Pubblichiamo due rapporti che abbiamo ricevuto sul crescente movimento della classe operaia egiziana.

Il prestigioso quotidiano economico venezuelano El Mundo ha recentemente rivolto  a Alan Woods una serie di domande che sollevano alcune questioni fondamentali della rivoluzione venezuelana, inclusa l'economia e la questione della proprietà, il ruolo della classe lavoratrice e della borghesia. Pubblichiamo di seguito l' intervista, che è uscita sul Mundo lo scorso 17 dicembre.

Sabato 15 si è svolto a Roma, davanti all’ambasciata della Tunisia, un sit-in a sostegno del popolo tunisino in lotta. Erano presenti oltre alla comunità tunisina, parecchie organizzazioni della sinistra.

È certamente difficile seguire il rincorrersi degli eventi in Tunisia, dove la protesta contro il carovita e per il diritto al lavoro, si è trasformata in un tentativo di rivoluzione: è un mese ormai, dal 17 dicembre che il popolo tunisino continua a scendere in piazza nonostante la dura repressione messa in atto dal governo di Ben Ali (stime delle organizzazioni umanitarie parlano di 66 morti).